Le parole sono importanti, urlava un Nanni Moretti visibilmente fuori di sé in una scelta cult del film Palombella Rossa. A giudicare dal vocabolario scelto da Giuseppe Conte, allora, qualche dubbio sul premier non può che affiorare. Sì perché in molti hanno notato un ricorso costante a termini alquanto arcaici, di uso decisamente poco comune, che stridono, e parecchio, con l’immagine di un Presidente del Consiglio che guida il “governo del cambiamento”, in antitesi con i predecessori.
Ecco, allora, una raccolta fatta da Il Giornale di alcune delle sue ultime espressioni. Una collezione che spazia dalla soluzione “condivisa sul punto di convergenza”, al “dossier coordinato personalmente per non soggettivizzare il conflitto” fino al “tono dialogico”. Scelte lessicali che alle volte scadono addirittura nell’indecifrabile, scrive la testata. Facendo notare come il premier inizia ad assomigliare in maniera preoccupante allo scomparso Giulio Andreotti, nel modo di parlare.
Un uomo che, stretto tra i fuochi di Lega e Cinque Stelle, cerca sempre il compromesso, la soluzione meno drastica. Temporeggia, ma alla fine si trova costretto a prendere decisioni. Sul caso Siri, ricorda Il Giornale, prima una lunga serie di frasi di circostanza (“Devo parlare con lui, per me conta la componente umana”), poi il ricorso a espressioni ermetiche: del sottosegretario della Lega bisogna valutare “se sia stato latore di interesse privato e non generale”. In occasione del dossier libico, con il rischio di essere scavalcato da Salvini, parlava invece di “evitare iniziative che potrebbero soggettivizzare il conflitto”.
Quando si parlava della revoca di concessione autostradale ai Benetton, il premier spiegava di aver avviato “la procedura di caducazione”. “È il dire attraverso il non dire – sostiene il quotidiano – l’arma che usavano i più consumati esponenti della Democrazia Cristiana”. Chissà se la strategia di Conte darà i suoi frutti. O se, nelle prossime settimane, i conflitti non esploderanno comunque.
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