Ancora scontro tra governo e Commissione europea sull’Imu alla Chiesa. Una diatriba che, stando alle stime Anci
(l’associazione dei Comuni italiani) potrebbe fruttare alle casse pubbliche fino a 5 miliardi, cifra che il ministero dell’Economia pare non essere interessato a incassare. “Le argomentazioni delle autorità italiane non dimostrano l’impossibilità assoluta di recuperare gli aiuti”concessi agli enti ecclesiastici, si legge in una lettera riservata che i servizi della Commissione hanno spedito al Tesoro ai primi di giugno.
Una missiva che fa parte di un carteggio con la Ue che circola negli uffici dei ministeri romani e nel quale Bruxelles ribalta le argomentazioni del dicastero guidato da Giovanni Tria. Come ricorda Repubblica, il caso nasce nel 2006, quando il Partito radicale con il fiscalista Carlo Pontesilli e l’allora deputato Maurizio Turco denunciarono lo Stato italiano di fronte all’Unione europea per le esenzioni fiscali concesse dal governo Berlusconi agli enti ecclesiastici impegnati in attività commerciali come scuole, cliniche, librerie o alberghi.
Nel 2012 la Commissione europea diede ragione ai ricorrenti, certificando che quella esenzione dall’Imu costituiva un aiuto di Stato illegittimo che turbava la concorrenza. Ma accolse anche le tesi di Roma secondo cui sarebbe impossibile quantificare e recuperare i soldi non versati all’erario (si parlava di 4-5 miliardi). Lo scorso novembre, però, la Corte di giustizia europea bocciò questa interpretazione e decretò che lo Stato deve recuperare l’Imu non versata tra il 2006 e il 2011.
In una lunga lettera datata marzo 2019 il Tesore scrisse alla Commissione: “Gli argomenti a disposizione — tira le
somme il Mef — non appaiono idonei a garantire che i fatti alla base del presupposto imponibile siano ricostruiti in modo certo e obiettivo ma solo, in alcuni casi, possono portare eventualmente alla formulazione di mere presunzioni, e quindi non di elementi certi e obiettivi”.
Esattamente le argomentazioni già bocciate lo scorso inverno dai giudici Ue.
“Dopo 15 anni di formazione negli Usa, in Italia il mio lavoro vale mille euro al mese”