Mirko Pallera è il fondatore di Ninja Marketing e Ninja Academy. Il suo talento per la comunicazione l’ha portato ad esplorare territori diversi ma complementari, dalla sociologia alla scrittura. É stato digital strategist per colossi commerciali come la Barilla e Banca Mediolanum. Autore di libri sul marketing non convenzionale, è anche membro del WOMMA (Word of Mouth Marketing Association) e fondatore del WOMMI (Word of Mouth Marketing Association Italia). Dal 21 al 23 settembre sarà ospite a Heroes Euro-Mediterranean Coinnovation Festival 2017. Ecco cosa ha raccontato a business.it, media supporter dell’evento.
Com’è nata l’intuizione di fondare Ninja Marketing e Ninja Academy?
L’idea nasce principalmente dalla frustrazione! Mi spiego, circa dieci anni fa, lavoravo come collaboratore per agenzie di comunicazione e le mie idee sul marketing non-convenzionale non erano comprese né internamente né tantomeno dai clienti. Per questo iniziai ad archiviare una serie di casi studio di campagne di marketing innovative, prima con stampe raccolte in una cartelletta di cartone, poi sul blog Ninja Marketing sotto forma di articoli. Da qui è nato tutto. La Ninja Academy fu la conseguenza del ripensamento del nostro business model. All’inizio avevamo puntato sulla consulenza, andando di fatto a creare servizi di marketing non-convenzionale per le aziende (dalla strategia, alla creatività, alla distribuzione dei contenuti fino alla misurazione dei risultati) e la cosa andò piuttosto bene per un certo periodo. Poi il mercato si saturò e divenne molto competitivo. Capii che quello che ci differenziava era la nostra community e la capacità di formare il nostro pubblico ai nuovi approcci e alle nuove tecniche di marketing. Nacquero i primi corsi prima in aula e poi online. Oggi siamo una vera e propria edtech company focalizzata sull’Alta Formazione e sul professional empowerment.
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Perché è importante partecipare ad eventi come Heores Coinnovation Festival?
Credo sia un ottimo modo per fare networking e trovare nuovi stimoli. Ogni relatore è di alto profilo e porta una sua particolare esperienza che vuole trasmettere agli altri. Fermarsi e respirare nuove energie è fondamentale oggi per intravedere nuove strade e opportunità. E poi Maratea è bellissima!
Se definisce la Sua mission quella di “innovatore sociale”, qual è quella di eventi come Heroes?
Innalzare l’asticella andando a fomentare un movimento sociale rivoluzionario: quello dei nuovi imprenditori che vogliono cambiare il mondo grazie alle opportunità del digitale e delle nuove tecnologie. Non è un caso che l’evento si faccia nel Sud Italia, dove manca ancora quella concentrazione di attori che può trasformare il digitale in una reale opportunità economica per i territori. Oggi è possibile fare impresa anche lontano dai naturali crocevia dell’economia. E il nostro compito, insieme agli altri Eroi di Maratea, è dimostrare che si può fare e indicare un percorso possibile.
Qual è la Sua opinione riguardo l’evoluzione delle professioni digitali? L’avvento delle A.I. e dei robot sul posto di lavoro riuscirà a preservare le mansioni dell’uomo?
Le professioni digitali ormai sono intrinsecamente legate al business analogico. Diventa quasi obsoleto separarle dalle professioni più tradizionali. Il digitale fa parte del business e le competenze digitali fanno parte delle professioni. Oggi senza il digitale nessun settore può considerarsi attuale e competitivo. Rispetto all’annosa questione di cosa comporterà una società dominata da robot e intelligenze artificiali, io auspico che questo diminuisca il tempo dedicato dall’uomo al lavoro e aumenti quello dedicato alla sua evoluzione culturale, sociale, artistica e spirituale.
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Cosa manca alle PMI italiane per esser maggiormente competitive rispetto alla realtà straniera?
Non credo che le PMI italiane siano meno competitive di quelle straniere, ma sicuramente la cultura del digitale può aiutarle a sfruttare meglio le occasioni. Una ricerca dimostrava come sia poco diffuso l’e-commerce e come quindi siano davvero poche le aziende che si sono affacciate ad un mercato potenzialmente immenso. Ma la cosa che maggiormente ostacola questo processo di internazionalizzazione credo sia la lingua. Il grande limite è quello di non avere un buon rapporto con l’inglese che è oggi la chiave che apre le porte di un palcoscenico mondiale. Quindi più che alle aziende la lacuna è da imputare ad istituzioni e famiglie visto che l’inglese negli altri paesi si impara da piccoli e si perfeziona negli anni grazie a film, libri, esperienze, viaggi.
Innovation Technology, Industria 4.0, Digital Health: quali lavori prevede per i giovani startupper italiani?
Oddio quante nuove parole trendy. Credo che lo startupper non sia un lavoro. Un lavoro è fare l’idraulico, l’elettricista, il falegname. Tutti lavori molto più redditizi dello startupper, almeno all’inizio e con un certo margine di sicurezza. Se proprio poi un giovane vuole, dopo aver imparato a fare qualcosa, come ad esempio intagliare il legno, unire antiche tradizioni con le nuove tecnologie e inventare un sistema di intaglio del legno distribuito basato su community open source, credo sia un bel punto di arrivo, ma non di partenza. Direi meno startup e più partiamo dalle basi e innoviamo conoscendo quello di cui stiamo parlando.
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