Siamo al braccio di ferro tra Di Maio e Salvini. Se fino ad adesso erano riusciti a nascondere la spaccatura dietro finti sorrisi, abbracci e dichiarazioni concordanti, ora, quando vengono al pettine i nodi della manovra, le divergenze non riescono più a rimanere taciute. Emergono, tutte. Una gola profonda rivela: “Si stanno scannando”. Su cosa? La Lega rivendica di aver rotto il muro “del nero” innalzato da Luigi Di Maio sulla pace fiscale: “Ha ceduto”. Il M5s agita la stretta del carcere per gli evasori come un totem immolato sull’altare del centrodestra: “Abbiamo annacquato di brutto, nella pace fiscale, la dichiarazione integrativa voluta dalla Lega con tanti vincoli che pochissimi la useranno”.
Ora, quindi, è il rapporto tra i due soci di governo a uscire ammaccato dalla lunga notte della manovra. La tensione d’un colpo porta allo scoperto le distanze, come quelle sui dossier di Tap e Rai. Per la prima volta anche Di Maio e Matteo Salvini “fanno fatica” (per usare un eufemismo) a trovare l’intesa.
L’accordo definitivo arriverà sul testo, spiegano fonti leghiste: “Abbiamo evitato che la scure delle pensioni d’oro calasse per decreto, ma se il M5s insiste nell’ampliare troppo la platea e l’entità del taglio, si ridiscute tutto”. Dopo settimane di trattative, i nodi su decreto fiscale e legge di bilancio vengono al pettine nel vertice convocato da Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Al tavolo c’è mezzo governo, incluso il ministro Giovanni Tria, i cui rapporti con i Cinque stelle sono ancora più incrinati dopo la vicenda Alitalia, tanto da aver dato già il via a rumors su un rimpasto di governo a gennaio.
Conte e Tria sono arbitri di un muro contro muro tra alleati che solo i due vicepremier riescono a sbloccare. No alla pace fiscale per gli evasori, dice M5s; no al taglio delle pensioni d’oro per decreto, ribatte la Lega. Di Maio non punta più il dito solo contro tecnici del Mef e della Ragioneria, ma anche contro l’alleato, reo di voler far passare un condono “vecchio stile”. I gruppi M5s così non reggono, si rischia la crisi: è il messaggio alla Lega.
La situazione è talmente grave, che lunedì mattina viene fatta pervenire la richiesta a Salvini, che ha impegni a Milano, di anticipare il rientro a Roma per un vertice di governo. Lui risponde di sì, ma con calma: fino al pomeriggio, fa sapere, farà le sue veci Giancarlo Giorgetti. A Di Maio non basta: il leader pentastellato diserta platealmente la riunione e si chiude nel suo ufficio di Palazzo Chigi. Tra i due leader non si segnalano contatti diretti: solo alle 16.30 si ritrovano faccia a faccia nell’ufficio di Conte.
Parte la vera trattativa. Conte e Di Maio forzano sui tempi del varo ufficiale della manovra, che la Lega vorrebbe con più calma. Salvini porta a casa l’assicurazione che “quota 100” partirà a gennaio e che la pace fiscale riguarderà anche dichiarazioni integrative (“il nero”) fino 100 mila nero. Sulle misure di semplificazione che Di Maio vorrebbe inserire nel decreto fiscale si raggiunge un compromesso: andranno in un secondo decreto, per non appesantire il percorso della pace fiscale. Restano distanze sulle nomine Rai.
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