Domenica 19 aprile 1987, Stati Uniti, sui teleschermi di migliaia di famiglie americane, appare uno strano cartone animato, il formato è quello di un corto da un minuto, i protagonisti hanno bizzarre facce gialle: nessuno si sarebbe mai immaginato di assistere ad un evento che avrebbe solcato la storia della sociologia umana, per gli anni a venire.
Siamo appunto sul finire degli anni ’80 quando il canale televisivo Fox, concede uno spazio serale ad una serie animata alquanto destabilizzante: un fumettista chiamato Matt Groening, assieme ai soci James L. Brooks e Sam Simon, si presentano con un soggetto decisamente accattivante ma anche molto provocatorio.
È la storia dei ‘Simpsons’, tipico nucleo familiare a stelle e strisce, ambientata in una cittadina inventata di nome Springfield, che riprende i tratti caratteristici dei piccoli insediamenti periferici americani: un insieme di villette a schiera che sorge intorno ad una centrale nucleare, proprietà dell’uomo più ricco del paese.
Con loro interagiscono una serie di personaggi di contorno, ognuno inquadra gli stereotipi sociali del tempo, e la strabiliante capacità degli autori della serie è quella di essere riusciti ad adattare le caratteristiche dei soggetti, all’evoluzione degli usi e costumi, dal primo episodio fino ad oggi.
Protagonisti assoluti sono i componenti della famiglia Simpsons: il padre, Homer, è un uomo sulla quarantina, l’antieroe, grassoccio e simpatico, che lavora nella centrale nucleare, non è certo un genio, è pigro ed ubriacone, ma strappa risate ad ogni mossa. La madre, Marge, è una casalinga devota, che dribbla le degenerazioni della società moderna, cercando di educare al meglio i 3 figli. Bart è il fratello maggiore: un teppistello dal cuore d’oro, che si caccia sempre in un mare di guai. Lisa, la mezzana, è una secchiona super intelligente, che persegue ideali ecologisti ed attivisti, infine c’è la piccola Maggie, che in 30 anni di proiezione televisiva, non hai mai spiccicato una parola.
Le avventure e le disavventure che la famiglia vive, riprendono avvenimenti e comportamenti reali del costrutto sociale americano, portando alla luce le forze e, soprattutto, le debolezze di un intero popolo.
Da molti è stato considerato un vero e proprio documentario, una riproduzione fedele delle abitudini, delle reazioni e dei pensieri degli americani.
Come in una sorta di reality, i Simpson vivono centinaia di situazioni, dalla più divertente alla più tragica, intorno a loro ci sono tanti co-protagonisti, molti decisivi per lo sviluppo delle storie, figure simboliche che descrivono alla perfezione la classica comunità. Dal pastore della chiesa, al preside della scuola, dal bullo al poliziotto, passando poi dal locandiere al clown, dalla maestra all’avvocato: una riproduzione estremamente fedele della piramide sociale americana.
Oggi questo spettacolo televisivo compie 30 anni, festeggia la proiezione in pressoché tutti i paesi del mondo, tradotto in decine e decine di lingue, è un vero e proprio business che si rinnova di giorno in giorno. 600 puntate, 32 Emmy, una stella nella Hollywood Walk of Fame, il Times, nel 1999 l’ha definita ‘la serie televisiva del secolo’, entra di diritto nella struttura della pop-culture mondiale nella transizione al terzo millennio.
Ma come ha potuto, un cartone animato, avere questo immenso successo trasversale, incollando ai teleschermi grandi e piccini?
Le motivazioni sono molteplici e proveremo a spiegarle.
Innanzitutto, come detto in precedenza, il ritratto della società si è adattato all’evoluzione, in ogni campo. Gli autori sono riusciti a mettere in scena gli effetti degli eventi capitati nel corso della storia, dalle vicende elettorali, alle catastrofi naturali, dai cambiamenti delle infrastrutture, all’eco delle innovazioni tecnologiche: i Simpsons non invecchiano, non crescono, gli episodi non seguono uno sviluppo lineare, come la maggior parte delle serie TV, ma puramente casuale, nonostante questo si percepisce in maniera chiara e palese, lo scorrere del tempo.
Un altro aspetto fondamentale per il coinvolgimento del pubblico è stata l’incredibile capacità degli autori di inserire nel cartone animato, decine di personaggi famosi, da attori del cinema, a cantautori di enorme successo, da politici illustri a celebri sportivi: un’intuizione che ha creato interesse negli spettatori, il cartone animato è un ritratto del mondo, nel mondo.
Ed ancora: l’umorismo dei Simpsons è una delle carte decisamente vincenti, uno humor sottile ma di massa, che potrebbe sembrare un ossimoro, invece spiega bene il fatto che i bambini si esaltino per certe scene o battute, e gli adulti, allo stesso tempo, ridano a crepapelle per altri riferimenti, che i più piccoli non possono cogliere. In tutto questo c’è un bilanciamento sublime della volgarità, che non è eccessiva, ma non è neppure assente, come in ogni ritratto sociale che si rispetti. Senza troppe ipocrisie, gli autori sono consapevoli di avere a che fare con un pubblico che comprende anche i bambini, ma con tutto ciò che vediamo in Tv, sul web, ma anche e soprattutto nella vita reale, non saranno certo alcuni passaggi un po’ più liberi dai lacci del ‘politically correct’ a sconvolgere il mondo.
Infine, il punto focale che ha permesso ad i Simpsons di non tramontare mai, è stata l’incredibile influenza esercitata su diversi ambiti della vita quotidiana.
La sigla è un motivetto inculcato nelle mente di milioni di persone, i prodotti commerciali con marchi inventati, all’interno della serie, sono diventati talmente di dominio pubblico che, appena lanciati nel mondo reale, hanno fatto sfracelli; la sorprendente familiarità dei protagonisti del cartoon, non solo dei componenti della famiglia, li ha resi delle vere e proprie celebrità, riprodotte, rappresentate, imitate e perfino tatuate. I modi di dire tipici di Homer e di Bart si sono diffusi a tal punto, da diventare battute inserite nel linguaggio comune dei giovani e, ovviamente, dei giovani che diventano adulti e continuano ad essere fans dei Simpsons; per non parlare poi del merchandising, che nel corso degli anni è divenuto una vera e propria macchina che sforna dollari a getto continuo.
Insomma, un vero e proprio business, un business giallo, come le bizzarre facce della famiglia più famosa del mondo.