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Il missile Iskander spaventa il mondo. Le proteste Nato: perché quell’arma fa paura

Un’arma che spaventa la Nato e la cui progettazione risale in realtà al passato, con una genesi travagliata e un risultato finale che però, oggi, fa paura. Il progetto del cosiddetto sistema Iskander M, noto anche con il nome in codice 9K720,  è infatti iniziato alla fine degli anni ’70, con la costruzione materiale che ha preso il via nel 1988 sotto la direzione della KB Mashinostroyeniya e che però si è trovata a fare improvvisamente i conti con la fine dell’Unione Sovietica. Una rivoluzione nello scacchiere geopolitico che però, nonostante i ritardi, non impedì di effettuare i primi test con successo sul finire degli anni ’90.

Di cosa si tratta, nello specifico? Di un missile balistico mobile a corto raggio che nasce dall’esigenza russa di sostituire gli obsoleti Otr-21 Tochka (SS-21 “Scarab”). Il diretto successore del missile Otr-23 Oka (SS-23 “Spider”) ritirato dal servizio in osservanza del trattato Inf sui missili a raggio medio e intermedio in Europa. L’arma ha la finalità di colpire bersagli terrestri di alto valore fissi o in movimento, come centri di comando e controllo, aeroporti o colonne di mezzi, e ha scatenato già polemiche a non finire. Secondo gli americani, infatti, facendovi ricorso i russi violerebbero il trattato Inf (Intermediate-range Nuclear Forces) del 1988, che proibisce in Europa il dispiegamento di sistemi missilistici con una gittata compresa tra i 500 ed i 5500 chilometri basati a terra e di sistemi per il loro lancio.Le fonti statunitensi sostengono che alcuni missili dell’arsenale russo violerebbero proprio questo tipo di regolamento, arrivando a una gittata massima superiore ai 500 chilometri (alcune fonti riportano 5mila). Il mondo ha scoperto per la prima volta l’Iskander M, dotato di falsi bersagli e soprattutto di una elevatissima manovrabilità, quando la Russia lo ha impiegato a Kalinigrad nell’ottobre del 2016 e poi in Siria nel 2017. L’Iskander è stato esportato anche in Armenia e Algeria e altri Paesi come Iran, Siria e Eau hanno dimostrato interesse verso il sistema ma non ne è mai stato confermato l’acquisto.