L’ultimo rapporto completo pubblicato dall’Istat sulla salute del nostro Paese e dei suoi abitanti ha portato alla luce dinamiche evidenti, dipingendo un ritratto d’Italia e degli italiani che lascia poco spazio all’ottimismo. Le difficoltà sempre crescenti che incontrano per vivere e le dinamiche sociali ammantano il futuro di ombre e preoccupazioni. I numeri non mentono e mostrano un quadro con molte ombre e poche luci: siamo più poveri, più vecchi e a pagare il conto di tutte le crisi sono stati il ceto medio e le classi povere. Siamo un Paese che va all’indietro, come i gamberi.
Uno dei problemi principali che si riscontrano in Italia è dato dai cattivi contratti e dalle basse retribuzioni. È il dato che spaventa di più: l’incidenza di povertà individuale fra gli occupati è aumentata dal 4,9% del 2014 al 7,6% del 2024. Questo dato considera solo le persone che, pur avendo un lavoro, si trovano sotto la soglia di povertà. Il numero aumenta considerevolmente se vengono compresi tutti quelli che con lo stipendio riescono a stento a sopravvivere. Il costo della vita, rispetto ai tempi del passaggio fra Lira ed Euro, in Italia segna mediamente un +100%. Per alcuni prodotti e servizi, si arriva addirittura al triplo. A fronte di un aumento dei salari che in 23 anni è stato del 50%. In pratica, i 100 Euro guadagnati nel 2002 valevano 100, mentre i 100 Euro guadagnati oggi valgono (a essere ottimisti) il 50% in meno.
Non c’entra l’inflazione: la differenza è data dal livello salariale rispetto ai costi. Le dinamiche economiche e le crisi le hanno pagate soprattutto i ceti medi, i poveri e in generale i lavoratori. Non a caso, la “propensione al risparmio” per cui gli italiani erano famosi nel mondo continua a scendere: -6,3% nel 2023, per un totale di circa 80 miliardi annui. Per avere un’idea, nel 2001 questa cifra era pari a 106 miliardi. E gli 80 miliardi di oggi, come potere d’acquisto, valgono il 50% in meno rispetto ad allora. Tra il 2014 e il 2023, la spesa delle famiglie è diminuita del 5,8%. Un dato che aumenta all’8,8% per le famiglie meno abbienti, all’8,1% per il ceto medio-basso e al 6,3% per il ceto medio.
Pil e Crescita
Il PIL italiano è tornato solo adesso ai livelli del 2007. In 15 anni, si è verificato un profondo divario di crescita fra l’Italia e gli altri Paesi. Il divario è di 10 punti con la Spagna, di 14 con la Francia e di 17 con la Germania. E se si parte a calcolare dal 2000, questo numero aumenta: -30 punti dalla Spagna, -20 da Francia e Germania. Per il 2024 le previsioni di crescita, in un’economia europea sostanzialmente ferma, sono del 1,6% in Spagna, dello 0,5% in Italia e Francia, mentre la Germania è in recessione: -0,3%.
Uno dei dati che preoccupa di più in proiezione futura è quello dell’invecchiamento della popolazione. Negli ultimi 20 anni, l’Italia ha “perso” 3 milioni di giovani. Nel 2023 nel nostro Paese c’erano solo 10,33 milioni di persone comprese fra i 18 e i 34 anni di età, contro i 13,39 milioni del 2003. Mentre le persone che hanno raggiunto o superato i 65 anni sono passate da 9 a 14 milioni: +54,4%. Nonostante questo, il lavoro per i giovani è sempre più precario e poco redditizio. Fra i laureati, il 35% svolge mansioni inferiori rispetto al livello di istruzione e preparazione.
Spaventa il tasso degli “inattivi”, cioè delle persone comprese nella fascia 15-64 anni che non lavorano e non cercano un lavoro. Sono il 33,3%, il dato più alto in Europa dove la media è del 25%. Infine, l’età media in cui ci si sposa è aumentata a 36 anni per gli uomini e a 33 per le donne. Il 67,4% dei 18-34enni vive in famiglia. Non a caso: comprare casa è sempre più difficile, per chi non può contare su aiuti dei familiari.
Questo rapporto dell’Istat è un vero e proprio campanello d’allarme. Un invito a riflettere seriamente sulle politiche economiche e sociali del nostro Paese, per invertire una tendenza che sembra portarci sempre più all’indietro.