L’uscita dell’Italia dall’euro avrebbe conseguenze pesanti per la vita di tutti i giorni degli italiani. Lo ha spiegato lo studio dell’agenzia di rating Cerved, che ha valutato l’impatto sull’economia reale del Paese. La Cerved Rating Agency ha calcolato che un negozio su quattro sarebbe destinato a chiudere, ma la conseguenza peggiore per il nostro Paese sarebbe un default del debito italiano. “Il default – ha spiegato il direttore Rating Activities di Cerved Rating Agency Mauro Alfonso – sarebbe una conseguenza prevedibile nell’ipotesi di un abbandono dell’euro. Con una lira che si svaluta di qualche decina di punti percentuali come si ripaga un debito in valuta pregiata?”.
Nella realizzazione del suo studio, l’agenzia Cerved ha preso in considerazione non solo statistiche ma anche esperienze concrete di fatti già accaduti ad altri Paesi (dalle crisi in America Latina di fine anni ’90, alle difficoltà della Russia, fino al caso recente della Grecia), e il risultato per l’Italia non ha portato a nulla di positivo. Una situazione devastante, anche a causa di carenze strutturali italiane rispetto gli altri paesi Europei. Anche se tornare oggi alle tanto amate lire può sembrare un ipotesi drastica e lontana dalla situazione odierna, se si pensa ai dibattiti interni di governo la prospettiva decisamente cambia. “”
Sono straconvinto che l’Italia con una propria moneta risolverebbe gran parte dei propri problemi” ha detto il presidente leghista della commissione Bilancio della Camera Claudio Borghi, in un intervista ai microfoni di Rai radio1 lo scorso 2 ottobre. Le parole del responsabile economico leghista, hanno causato una vera e propria ondata di panico al solo delineare lo scenario di un’Italia fuori dall’Euro, e spingendo verso il basso le quotazioni delle moneta unica.
L’idea di una “Italexit”, ovvero lo scenario di un’uscita del nostro Paese dall’euro, è un’ipotesi che ormai si riaffaccia con una certa costanza nel dibattito politico-economico. Come ha spiegato il Sole 24 ore, il Pil italiano andrebbe incontro ad un crollo pari al 6% mentre i rendimenti decennali dei Btp schizzerebbero al 12%: tanto basterebbe per far impennare i fallimenti tra imprese che passerebbero dall’attuale livello del 6,8% ad oltre il 20 per cento. Il crollo dei consumi interni provocherebbe una sorta di maremoto per alberghi e ristoranti (28% di default nel 2020) così come per il commercio al dettaglio. Entro il 2020 un’azienda su quattro potrebbe non alzare più la propria saracinesca.
“Uno dei problemi più gravi – ha chiarito il direttore Alfonso – sarebbe rappresentato dal credito, e non solo per la prevedibile corsa allo sportello dei correntisti. Se il valore dei titoli di Stato crolla si erode il patrimonio per le banche, che dunque devono ridurre gli impieghi, oppure ricapitalizzare. Opzione quest’ultima di difficile realizzazione se il quadro fosse quello descritto. La contrazione dei prestiti sarebbe abnorme, con effetti devastanti sul sistema”. Al momento gli unici che ne potrebbero avere un vantaggio sono le aziende a forte
vocazione internazionale, per le quali una forte svalutazione interna potrebbe produrre un guadagno competitivo Ma anche in questo caso le aziende dovrebbero far i conti con il rincaro di materie prime di cui l’Italia è sprovvista, gas naturale in primis.
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