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“Italiani dovete fare austerity, no ai tagli alle tasse”. L’FMI ci dà i soliti “consigli”. E sulle pensioni ormai è una farsa…

Il Fondo Monetario Internazionale è intervenuto a commentare lo stato dell’economia italiana. E dietro a qualche carezza (l’economia italiana si è “ripresa bene” dalla pandemia) ha snocciolato le solite richieste. Debito troppo alto, previsione di crescita modesta per i prossimi anni, spesa pubblica eccessiva (sappiate che non è vero, siamo fra i Paesi che spendono meno in Europa, ndr). Insomma la solita solfa alla quale ormai siamo abituati. E con il linguaggio che gli è proprio, il FMI mette dei paletti alle nostre politiche economiche. Le riforme auspicabili che dovrebbero stimolare la crescita, per gli analisti del fondo, sono “la sostituzione dei tagli al cuneo fiscale e dei sussidi alle assunzioni con misure che aumentino in modo permanente la produttività del lavoro”. In sintesi: niente tagli alle tasse per i lavoratori e niente aiuti alle imprese che vogliono assumere. Peccato che in Italia il problema non sia né la propensione al lavoro – siamo fra gli stacanovisti d’Europa – né la produttività, questo mito moderno che viene infilato un po’ dappertutto perché vuol dire tutto e niente. (continua dopo la foto)

Il problema italiano è che le imprese producono meno per il calo del mercato interno. E vivere di export non si può perché, senza equilibrio fra mercato interno ed esportazioni, peggiorano i conti dello Stato. Quindi peggiora anche il rapporto fra debito e Pil. Alla fine, da qualunque parte la tiri, la coperta è corta. E allora? Be’, naturalmente si va a parlare di pensioni. “Occorre razionalizzare ulteriormente la spesa pensionistica”, scrive il FMI. “Innalzando l’età pensionabile effettiva ed evitando costosi regimi del pensionamento anticipato”. Insomma, visto che ormai gli italiani si stanno rassegnando ad andare in pensione a 70 anni, tanto varrebbe dire che la gente dovrà “morire alla scrivania“. Peraltro questa “soluzione” si scontra con ciò che accade nella realtà. Perché queste formule generiche non tengono mai conto di alcuni meccanismi che affrontiamo nel quotidiano. Cioè che già sopra i 50 anni le aziende non vogliono assumere. Che la “produttività” di un anziano non può essere la stessa di un giovane. Che a un certo punto le forze calano e ci si ammala più facilmente, soprattutto se sottoposti a certe fatiche. (continua dopo la foto)

Poi, si sta avviando la “nuova economia” che si avvarrà dell’intelligenza artificiale. E tutti i centri studi che si occupano di questo argomento si aspettano, in tempi abbastanza brevi, una copiosa perdita di posti di lavoro. Quindi, secondo chi sta ai piani alti, dovremmo lavorare sino alla terza età, però i posti di lavoro diminuiranno. E in tutto questo le giovani generazioni non si sa bene cosa dovrebbero fare. Vivere in uno stato di perenne precariato, probabilmente, aspettando che i 70enni liberino qualche posto. Insomma, è evidente che il sistema non funziona più. Ma chi deve prendere decisioni continua a ripetere le stesse vecchie formule. Che alla fine, senza che nessuno o quasi lo faccia notare, diventano contraddittorie una rispetto all’altra. Verrebbe da chiedere ai signori del FMI come farà a reggere un Paese che già sconta il calo del mercato interno, il problema dei salari troppo bassi e l’enorme perdita di potere d’acquisto del denaro se dovrà ulteriormente ridurre la spesa pubblica e gli interventi a favore dei cittadini. Sì, perché alla fine arriviamo sempre allo stesso punto: che cosa serve “sostenere” l’economia se poi l’economia, anziché funzionare a favore dei cittadini, li riduce in povertà?

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