Arrestato a Londra fondatore di WikiLeaks Julian Assange. “Affronterà la giustizia del Regno Unito”: con queste parole il ministro dell’Interno britannico, Sajid Javid, ha confermato l’arresto del giornalista che è avvenuto all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dopo che Quito ha revocato la concessione dell’asilo al 48enne australiano. Assange è al momento in custodia alla stazione centrale di Scotland Yard e sarà portato al più presto davanti ai magistrati, riferisce la polizia londinese.
“Posso confermare che Julian Assange, 7 anni dopo essere entrato nell’ambasciata ecuadoriana, è ora sotto custodia della polizia per affrontare debitamente la giustizia del Regno Unito. Voglio ringraziare l’ambasciata dell’Ecuador per la sua cooperazione e la polizia per la sua professionalità: nessuno è al di sopra della legge”, ha concluso Javid.
Capelli e barba bianchi, Assange è stato portato fuori dalla sede diplomatica ecuadoriana da sette poliziotti in borghese, che lo hanno condotto fino a un furgone della polizia. I ringraziamenti del ministro inglese ai diplomatici sudamericani non sono un particolare di poco conto. Assange, infatti, non è uscito dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra, ma è stato l’ambasciatore a far entrare la polizia britannica all’interno della sede diplomatica, dove il fondatore di WikiLeaks è stato arrestato.
Da parte sua, il presidente dell’Ecuador Lenin Moreno ha fatto sapere che il suo Paese ha revocato l’asilo al fondatore di WikiLeaks per “violazioni della convenzione internazionale” da parte del giornalista australiano, che dal 2012 era rifugiato nella sede diplomatica di Quito a Londra. Secondo WikiLeaks, però, la revoca dell’asilo politico è avvenuta illegalmente.
Sulla questione è intervenuta anche la Russia, con il Cremlino che – a leggere l’agenzia russa Tass – “auspica che siano rispettati tutti i diritti di Assange”. Non solo. Su Facebook la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha scritto che “la mano della ‘democrazia’ strangola la libertà”. Un’accusa pesantissima, come quella dell’ex presidente dell’Ecuador Rafael Correa, che aveva concesso l’asilo politico a Julian Assange.
“Questo è un momento buio per la libertà di stampa” ha detto Edward Snowden, ex analista dell’Nsa e gola profonda del Datagate esiliato a Mosca: “Le immagini dell’ambasciatore dell’Ecuador che invita i servizi britannici nell’ambasciata per trascinare via un giornalista vincitore di premi fuori dall’edificio – ha detto – finiranno nei libri di storia. I critici di Assange possono esultare, ma questo è un momento buio per la libertà di stampa”.
Scotland Yard ha spiegato che l’arresto è stato eseguito in virtù di un mandato di giugno 2012 emesso dal tribunale londinese di Westminster Magistrates con l’accusa per Assange di non essersi presentato in tribunale. Il fondatore di Wikileaks si era rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra nel 2012 per evitare di essere estradato in Svezia, dove è accusato di stupro. Sull’australiano pendeva appunto un mandato d’arresto britannico per violazione delle condizioni di libertà sorvegliata.
Il fondatore di Wikileaks aveva sempre reso chiaro che temeva, in caso di arresto, di essere estradato verso gli Stati Uniti in conseguenza della pubblicazione nel 2010 sul suo sito di migliaia di documenti confidenziali del dipartimento di Stato e del Pentagono. Assange ha fondato Wikileaks nel 2006. Il sito si è fatto conoscere al grande pubblico con un crescendo di rivelazioni, pubblicando per esempio un video dell’esercito Usa in Iraq e poi migliaia di documenti militari relativi alla campagna in Afghanistan.
In totale, il sito rivendica di avere pubblicato “oltre 10 milioni di documenti” relativi a finanza, intrattenimento e politica. E oggi WikiLeaks, dopo l’arresto di Assange, ha denunciato che ci sono “la Cia” e altri poteri dietro la caccia: “Assange – ha twittato – è un figlio, un padre, un fratello. Ha vinto decine di premi di giornalismo ed è stato nominato per il Nobel per la pace dal 2010. Ma attori potenti, inclusa la Cia, sono impegnati in un sforzo sofisticato per disumanizzarlo, delegittimarlo e imprigionarlo”.
Le paure del giornalista australiano e della sua organizzazione, però, sono state in un certo senso rispedite al mittente dal presidente dell’Ecuador, il quale ha assicurato che Julian Assange non sarà estradato in un Paese che applica la pena di morte, quindi non andrà negli Stati Uniti, dove è ricercato per la pubblicazione nel 2010 di documenti riservati americani.
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