“Chi vi manda?”.
“Ci mandano Falcone e Borsellino”.
15 gennaio 1993, 16 gennaio 2023. Trent’anni fa a Palermo i carabinieri del capitano Ultimo arrestavano a Palermo il capo dei capi di Cosa Nostra, Salvatore Riina. Oggi, trent’anni esatti dopo, i carabinieri del Ros sempre a Palermo hanno arrestato l’ultimo capo dei capi, latitante da tre decenni, Matteo Messina Denaro.
Lo Stato italiano mette a referto il ko definitivo alla mafia, assicurando alla giustizia il latitante numero uno a trent’anni esatti dall’arresto di Riina. “Oggi 16 gennaio 2023 i Carabinieri del Ros, del Gis e dei comandi territoriali della Regione Sicilia nell’ambito delle indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Palermo hanno tratto in arresto il latitante Matteo Messina Denaro all’interno di una struttura sanitaria a Palermo dove si era recato per sottoporsi a terapie cliniche. Non ha opposto resistenza, il dispositivo era in grado di poter fronteggiare qualsiasi emergenza anche per le persone presenti nella clinica” ha spiegato il generale di divisione Pasquale Angelosanto, comandante dei Ros. L’inchiesta che ha portato alla cattura del capomafia di Castelvetrano (Tp) è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido. “Una grande vittoria dello Stato che dimostra di non arrendersi di fronte alla mafia”: così il presidente del Consiglio Giorgia Meloni commenta la notizia dell’arresto del capomafia latitante da trent’anni. “All’indomani dell’anniversario dell’arresto di Totò Riina, un altro capo della criminalità organizzata viene assicurato alla giustizia” ha aggiunto Meloni.
Il boss corleonese Salvatore Riina era stato arrestato a Palermo il 15 gennaio del 1993 dopo 24 anni di latitanza. Fu il primo passo dell’offensiva dello Stato contro Cosa Nostra dopo le stragi del ’92 in cui vennero trucidati i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino assieme agli agenti delle loro scorte. Quel giorno i carabinieri del capitano Ultimo Sergio De Caprio intercettarono l’auto di Riina appena uscita dal residence di via Bernini a Palermo, in cui viveva da tempo con la famiglia. In auto con i carabinieri quel giorno c’era il pentito Baldassare Di Maggio che riconobbe Salvatore Biondino e Totò Riina a bordo di una Citroen ZX. Il capo dei capi fu fermato intorno alle 8,30 del 15 gennaio 1993 sulla rotonda di via Leonardo da Vinci, quando l’auto ha appena superato il motel Agip.
“Riina, lei è catturato per mano dei carabinieri” gli disse Ultimo aprendo lo sportello, proprio nel momento in cui a Palermo si stava insediando il nuovo procuratore capo, Giancarlo Caselli. Nonostante l’impresa di Ultimo e dei suoi, la mancata perquisizione del covo di via Bernini, avvenuta solo alcuni giorni dopo quando la villa era stata ormai svuotata e ripulita, sfociò poi in una rovente polemica tra la Procura e i carabinieri e in un processo concluso con l’assoluzione del vicecomandante del Ros Mario Mori e del colonnello Sergio De Caprio, accusati di favoreggiamento a Cosa Nostra.
Totò Riina è rimasto in carcere al 41 bis fino alla sua morte avvenuta il 17 novembre 2017. Non si è mai pentito e non ha mai ammesso i suoi crimini. Di Matteo Messina Denaro parlava come “la luce dei miei occhi”, perché il futuro latitante, ultimo capo di Cosa Nostra, era stato affidato al capo dei capi dal suo stesso padre. “E io l’ho fatto buono” diceva Riina, riferendosi al mafioso arrestato oggi che era cresciuto sulle sue ginocchia.