Un muro di silenzio, tristemente simile a tante cortine di fumo che in passato hanno accompagnato scandali o presunti tali. Quella alzata di recente intorno alla vicenda Russiagate o Moscopoli, a voi la scelta sul nomignolo che più vi aggrada: al centro della scena Gianluca Savoini, l’uomo accusato di aver portato avanti una trattativa tra la Lega e il Cremlino per far arrivare ingenti finanziamenti russi al partito di Matteo Salvini. E che, sentito dai pm, si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Questa, d’altronde, è ormai la strategia del Carroccio. Silenzio. Negare tutto, senza lanciarsi in teorie troppo fallaci e facilmente smentibili. Lasciare che l’incertezza regni sovrana per non gettare ulteriore benzina su un fuoco divampato di colpo grazie alla pubblicazione di un radio rubato dal sito americano BuzzFeed e che testimonia un incontro realmente andato in scena a Mosca tra lo stesso Savoini e alcuni funzionari russi.
“Savoini e D’Amico sono innocenti fino a prova contraria” è così diventato il nuovo mantra leghista. Poco importa se nel frattempo le richieste di chiarimento continuano a fioccare da ogni lato: vuole trasparenza il premier Conte, la auspica l’alleato di governo Luigi Di Maio, la pretendono le opposizioni guidate dal Pd di Zingaretti, almeno in questo caso battagliero.“Se ci fosse qualcosa da chiarire sarei il primo, ma siccome non c’è, non commento fantasie. Non parlo di spie russe” risponde Salvini. La linea è valida, ovviamente, per tutti gli stati generali del Carroccio: lasciar parlare gli altri, limitarsi a un silenzio che faccia da camomilla in un’estate che dopo i brindisi delle europee si è fatta di colpo maledettamente complicata. Perdere consensi ora, per il ministro dell’Interno, sarebbe inaccettabile. Meglio restare zitti e sperare che le acque si calmino da sole, le dita ben incrociate.
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