Sette punti percentuali persi in due mesi. La Lega scesa al di sotto della soglia del 30% nel gradimento degli italiani, un passo indietro clamoroso che nessuno avrebbe mai ipotizzato fino a qualche settimana fa. E invece da quando è iniziato il lockdown Matteo Salvini sembra aver perso di colpo il suo tocco magico, incapace di far parlare di sé se non per gaffe e uscite a vuoto. Una crisi profonda, che ha trascinato con sé il Carroccio intero. Al punto da spingere i fedelissimi del Capitano a delle amare considerazione: “Se l’emergenza dovesse durare un anno, ci ritroveremmo al 4%”. Un battuta, per carità. Che dà però il senso dell’aria che si respira nel partito.
Gli stati generali verdi sono al lavoro per trovare una rapida soluzione, per invertire una rotta che al momento ha come unica destinazione il naufragio. Lasciando serpeggiare un’idea: e se il futuro fosse senza Matteo Salvini alla guida? Tutti riconoscono al Capitano il grande lavoro fatto nello svecchiare la Lega, portandola da partito tradizionalmente radicato al Nord a forza dilagante in ogni Regione d’Italia. Ora, però, in molti iniziano a chiedersi se non sia il caso che l’ex ministro dell’Interno si faccia da parte, per evitare di gettare alle ortiche quanto costruito sin qui.
Salvini è rimasto un leader forte, trascinatore, fin quando ha potuto sfruttare le sue armi: le adunate di massa, i selfie con i fedelissimi, gli show in piazza. Costretto a casa come tutti gli italiani dall’emergenza sanitaria, si è riscoperto improvvisamente goffo, nevrotico. Infilando errori, bufale, contraddizioni. Giancarlo Giorgetti ha cercato in ogni modo di convincerlo a rivedere la sua strategia comunicativa, senza successo: “Basta fare a gara a chi la dice più grossa”. Appelli caduti puntualmente nel vuoto, mentre nel partito la tensione iniziava a montare.
Il Capitano non ha voluto sentire ragioni, terrorizzato dall’idea che una Lega meno “cattiva”, più responsabile avrebbe finito per farsi rosicchiare ulteriori consensi da una Giorgia Meloni ormai pronta a dare la spallata a Salvini e imporsi come nuovo leader della coalizione di centrodestra. Il simbolo della crisi è nella Lombardia di Attilio Fontana, il presidente che dell’ex ministro condivide modi e approcci alla politica e che è finito travolto dall’emergenza a sua volta. Dalla parte opposta Luca Zaia e il Veneto, che ne sono usciti rafforzati. “Perché Zaia – spiegano nel Carroccio – è un’altra cosa, lui non risponde direttamente a Matteo”.
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