Se fino a qualche anno fa venivano guardate con sospetto dagli investitori più tradizionalisti, oggi le criptovalute vengono considerate un asset in cui diversificare il proprio capitale al pari dei mercati azionari, dei fondi, degli ETF, delle commodities o dei beni rifugio. Investire in Bitcoin è una scelta coerente con una strategia strutturata ed un portfolio equilibrato, ovviamente accettando un grado di rischio legato principalmente alla volatilità, che è una caratteristica tipica delle criprovalute.
Rally improvvisi e crolli repentini hanno caratterizzato il Bitcoin fin dall’inizio della sua quotazione, oltre 11 anni fa. La criptovaluta non è stata esente nemmeno da bolle speculative, come quella che nel 2017 ha portato il valore al suo massimo storico a 20.000 dollari, per poi crollare nei primi mesi del 2018. Questa bolla ha però avuto il merito di far conoscere il Bitcoin anche ai non addetti ai lavori, consacrandolo come forma di investimento alternativa.
Fonte: Pixabay
Il Bitcoin ai tempi del Coronavirus
In questo difficile 2020 il Bitcoin ha fatto molto parlare di sé a seguito di un vero e proprio crollo della quotazione, avvenuto a marzo, in concomitanza con la diffusione del Coronavirus e il conseguente lockdown in molti Paesi del mondo. Dai massimi del 2020 – il 12 febbraio quotava a 10.347 dollari – la criptovaluta tra il 12 e il 13 marzo è scesa a quota 3.200 dollari per poi risalire subito a 5.100 dollari, cioè un crollo di quasi il 50% rispetto al giorno precedente. In un solo giorno sono stati “bruciati” 48,3 miliardi di dollari di capitalizzazione.
Alcuni avevano profetizzato che la criptovaluta potesse essere il nuovo oro digitale, ovvero un bene rifugio, ma questo calo ha posto seri dubbi su queste considerazioni. Oltre al fatto che il Bitcoin non ha alcun valore intrinseco, ha dimostrato di comporsi in modo più simile a quello dei mercati azionari, anch’essi crollati in quei giorni, e in generale di qualsiasi altro settore dell’economia.
Il mercato rimane rialzista
La buona notizia è che nel giro di qualche mese la criptovaluta ha recuperato quasi tutto il valore perso a marzo, tornando a quota 9.000 dollari. Il basso prezzo della criptovaluta è uno dei fattori che ha contribuito ad un nuovo trend rialzista, che ha caratterizzato le settimane successive.
A luglio la quotazione ha fatto segnare un leggero calo, portando il prezzo a quota 8.000 dollari nella seconda metà del mese. Nonostante questa flessione sia piuttosto consistente, non sembra però aver invertito il sentiment del mercato, che rimane positivo e bullish. L’idea prevalente è che quella che sia iniziato un nuovo ciclo rialzista e che presto potremmo assistere ad un nuovo aumento di prezzo.
Fonte: Pixabay
L’halving può essere un fattore determinante?
A pesare sulle previsioni è certamente il terzo halving della criptovaluta, che è avvenuto a maggio di quest’anno. L’halving è una operazione che consente di rallentare i tempi di produzione della criptovaluta da parte dei miners, dato che – lo ricordiamo – il numero massimo di Bitcoin che si possono creare è fissato a 21 milioni.
Quando viene realizzato, l’halving va a ridurre della metà la ricompensa dei miners (ovvero i produttori della criptovaluta). Di solito avviene ogni quattro anni, o meglio ogni 210.000 blocchi: i due halving precedenti risalgono al 2012 e al 2016. Nel primo la ricompensa passò da 50 a 25 BTC per ogni conferma di blocco, mentre nel secondo la ricompensa diminuì da 25 a 12,5 BTC. Nell’ultimo dimezzamento del 12 maggio 2020 si è passati invece a 6,25 BTC, che è la ricompensa attuale per chi produce i Bitcoin.
Ma quali sono le conseguenze dell’halving sulla quotazione del Bitcoin? Secondo gli analisti la minore offerta di Bitcoin, dovuta al rallentamento della sua produzione, potrebbe portare ad un rialzo del prezzo della criptovaluta, come del resto già avvenuto nelle due occasioni precedenti. C’è però chi ritiene che l’operazione possa causare un abbassamento del prezzo, almeno nel breve periodo, dovuto al fatto che i miners a causa del dimezzamento del proprio guadagno siano costretti a vendere velocemente i Bitcoin appena estratti.
La correlazione tra prezzo e hash rate
In un periodo di halving un fattore da monitorare è l’hash rate, che è legato alla computing power e di conseguenza alla partecipazione dei miners. Nei primi due dimezzamenti l’hash rate ha mostrato un andamento allineato a quello del prezzo, una situazione confermata anche nel 2018 quando la quotazione era bassa. Nel periodo successivo all’halving del 2020 l’hash rate ha raggiunto il suo massimo storico: è quindi lecito aspettarsi un aumento anche per il prezzo del Bitcoin?