Meno lavoro, più produttività. L’accorciamento della settimana lavorativa standard non è un concetto completamente nuovo, anche se ha guadagnato terreno solo negli ultimi anni, diventando una pratica più popolare dall’arrivo della coronavirus. Sempre più spesso infatti si sente parlare di obiettivi e non di ore passate in ufficio, e così anche il tempo passato alla scrivania in attesa di timbrare il cartellino perde il suo valore. Infatti il concept della settimana lavorativa breve a parità di stipendio si basa proprio sulla maggiore produttività di un dipendente meno stanco e più appagato. E tra gli Stati a mettere in atto questo cambiamento, insieme a Spagna ed Usa, ora c’è anche il Regno Unito. In Scozia il governo ha da poco annunciato l’intenzione di estendere la possibilità di lavorare 4 giorni a settimana. Come si legge sulla stampa specializzata, questa iniziativa è parte di un progetto da 10 milioni di sterline che segue il percorso tracciato da altri programmi analoghi in Islanda e Nuova Zelanda.
Secondo un recente sondaggio, che ha intervistato 2.203 scozzesi in età lavorativa, l’88% è disposto a prendere parte al progetto. Circa due lavoratori su tre, inoltre, sono convinti che il cambiamento potrebbe avere un effetto benefico sulla produttività del Paese. In Scozia però c’è ancora da sciogliere il nodo sul capitolo soldi: l’80% degli intervistati sosterrebbe l’introduzione di una settimana lavorativa di quattro giorni soltanto a parità di stipendio. Dubbio lecito quello della popolazione scozzese, visto che in Spagna in noto marchio del fashion Desigual, ha deciso di avviare una sperimentazione per introdurre la settimana lavorativa di 32 ore a condizione, però, di una retribuzione più bassa.
Il successo dell’Islanda
La Scozia potrebbe quindi imboccare la strada già tracciata dall’Islanda: tra il 2015 e il 2019, infatti, in Islanda è stata sperimentata realmente la settimana lavorativa corta con ottimi risultati in termini di produttività. Circa duemila lavoratori sono passati da una settimana di 40 ore a una di 35 o 36 ore senza alcun contraccolpo sul fronte della qualità del lavoro. Il report conclusivo legato all’esperimento islandese sottolineava come i dipendenti si sentissero meno stressati, più felici e ben disposti a lavorare per l’azienda.
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