I lavori sottopagati stanno diventando una regola nell’era del turbocapitalismo. Una norma soprattutto per un gran numero di giovani che sono costretti a lavorare in cambio di paghe orarie bassissime e senza poter godere di alcun diritto. Una situazione che non solo rischia di aggravarsi, ma anche di provocare squilibri tali da mettere infine a serio rischio la tenuta del sistema.
I settori coinvolti
Ha destato grande scalpore, lo scorso anno, la protesta dei fattorini di Foodora, l’azienda che permette di selezionare un ristorante nelle proprie vicinanze ed avere l’ordinazione a casa entro mezz’ora al massimo, grazie ai riders messi a disposizione dell’utenza.
Per svolgere questa mansione, i fattorini dichiaravano di ricevere, infatti, 2,70 euro per ogni consegna effettuata. Una retribuzione quindi irrisoria ed in calo, se si pensa che sino a qualche mese prima, la paga oraria era di cinque euro. Queste dichiarazioni sono state poi smentite dai vertici dell’azienda che hanno affermato che i riders ricevono 4 euro a consegna.
Ma non è solo la ristorazione a proporre queste paghe da fame, anzi, si tratta di una pratica ormai presente anche in settori come l’alberghiero, l’agricolo, il culturale o lo sportivo.
Paghe basse e assenza di diritti
Va peraltro sottolineato come i lavori sottopagati siano anche caratterizzati dalla pratica assenza di diritti e da condizioni lavorative sempre più pesanti, tali da rendere praticamente impossibile mettere insieme lavoro e vita privata.
L’emblema di questa situazione è Marica Ricutti, la lavoratrice dell’Ikea licenziata dall’azienda svedese in quanto non poteva iniziare il lavoro alle 7 del mattino, essendo mamma di due figli, di cui uno disabile.
Una situazione, quella dell’Ikea, che è peraltro prassi presso la stragrande maggioranza delle imprese italiane, rese molto più forti dall’arrivo del Jobs Act. che ha in pratica tolto di mezzo l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che impediva appunto la mano libera nei licenziamenti senza giusta causa.
Il caso Amazon
Peraltro ormai la situazione sta assumendo tinte sempre più fosche, che non riguardano solo i lavoratori sottopagati, ma anche quelli che lavorano per i grandi gruppi e che quindi possono vantare la protezione dei sindacati.
Basti pensare in tal senso a quanto sta accadendo ad Amazon, accusata non solo di retribuzioni inadeguate, ma anche di condizioni di lavoro sempre più vessatorie. Tanto da spingere allo sciopero i lavoratori dell’hub di Piacenza, uno dei principali del nostro Paese.
Sotto accusa i turni massacranti, oltre dieci ore, i ritmi assurdi che impongono di chiudere un pacco entro e non oltre 30 secondi e condizioni tali da portare infine i lavoratori a dormire letteralmente in piedi per la stanchezza, con il pericolo di aumentare la possibilità di incidenti.
Una vera e propria emergenza
Se ora per Amazon sembrano essere iniziati i guai, tanto che l’AgCom ha diffidato l’azienda, imponendogli di applicare il contratto del settore postale, va comunque ricordato che milioni di lavoratori italiani continuano a dover lavorare per salari bassissimi e in condizioni spesso inadeguate.
Dovrà quindi essere la politica, prima o poi, a farsi carico di quanto sta accadendo, anche se sinora i partiti sembrano non essersi accorti di nulla o quasi, impegnati nella discussione sulle imminenti elezioni politiche.
Una emergenza della quale si potrebbe tornare a parlare proprio nel corso della campagna elettorale, quando le parti politiche dovranno far capire agli italiani come intendono affrontare quella che si prefigura ormai alla stregua di un’emergenza.