Da un analisi fatta risulta che, la crescita occupazionale, nel prossimo anno avrà un andamento lento, se non piatto. Quello che ci aspetta è dunque un mercato del lavoro piatto, più sulla difensiva, che all’attacco. I dati che emergono, mostrano che nel primo trimestre del 2018 non sono prevedibili sostanziosi cambiamenti migliorativi nell’andamento delle assunzioni. I datori di lavoro assumono personale solo quando necessario per essere agili nel breve periodo.
Ma in Italia, come in altri Paesi esaminati a un clima economico instabile corrisponde l’instabilità del mercato del lavoro”. Tant’è che solo il 6% dei datori di lavoro prevede un aumento dei posti, mentre il 7% dovrà tagliare l’organico e l’84% non prevede cambiamenti nei prossimi mesi. Un quadro non incoraggiante che però varia da settore a settore e anche da un punto di vista geografico.
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La caratteristica della «crescita» celebrata nell’ultimo anno è la moltiplicazione di lavoro povero, a termine e precario. Tanto più cresce il Pil, tanto più gli impieghi sono intermittenti e sotto-pagati. Sono aumentati i lavoratori a termine, mentre sono diminuiti quelli a tempo indeterminato. I primi sono passati dal 14% al 19%, i secondi sono calati dall’86% all’81%.
Le posizioni a tempo determinato sono 390 mila, 81 mila in più rispetto al secondo trimestre, 146 mila in più rispetto al primo. Sono concentrate nel settore dei servizi, meno nell’industria, oltre che in agricoltura dove si ricorre di più al lavoro stagionale e discontinuo. In totale le attivazioni delle posizioni lavorative con contratto a termine hanno raggiunto il massimo storico: 2,86 milioni, il13,8 per cento in più solo nell’ultimo anno. Il lavoro a tempo indeterminato è, invece stabile: meno 6 mila unità nel trimestre. Anche il terzo trimestre 2017 ha confermato la mutazione strutturale del mercato del lavoro al tempo del Jobs Act.
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Un’indagine dell’Adnkronos su un campione di oltre mille imprese sotto i 50 addetti ieri ha confermato che nel 2018 tutto proseguirà come nel 2017: dopo avere licenziato, queste imprese pensano di sostituire il tempo indeterminato con il lavoro a termine. Non serve dunque licenziare, basta aspettare la naturale conclusione del contratto. E questi contratti possono durare in media anche tre giorni. La forza lavoro è governata come gli stock di un magazzino: «la crisi – dicono le imprese – ha insegnato che le esigenze di oggi potranno non essere quelle di domani». La razionalizzazione capitalistica è compiuta. C’è anche chi ritiene che, terminati con la fine del 2018 gli incentivi alle assunzioni ci sarà un’alluvione di licenziamenti. Può anche non accadere, basta ricorrere ai contratti a termine. E il giro di giostra ricomincerà. Come prima, più di prima.