“Sei troppo grassa per fare la commessa”. Dopo il suo primo giorno di prova in un negozio di casalinghi, è questa la frase shock che si è sentita dire Fabiola, una ragazza 24enne di Crotone. A denunciarlo è la stessa ragazza attraverso un post di denuncia pubblicato su Facebook, che non è certo passato inosservato. “Premetto che sono una ragazza in carne e vesto una 52 e non una 38”, ha scritto Fabiola quasi sentendosi in colpa per il suo peso. Il punto però è proprio che la 24enne non è stata valutata per la qualità del lavoro svolto, ma proprio per il suo aspetto fisico. Diplomata, con varie esperienze di lavoro in un call center e in un negozio, Fabiola si è anche formata per l’organizzazione di eventi. Qualche giorno fa è stata chiamata da un’attività commerciale di Crotone alla quale aveva inviato il proprio curriculum per lavorare come commessa: “Quando sono andata – ha raccontato a il Crotonese – la moglie del titolare mi ha spiegato cosa avrei dovuto fare, mi ha detto che i giorni di prova sarebbero stati quattro, ma senza accennare minimamente alla retribuzione”.
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Troppo grassa per salire le scale
Secondo la ricostruzione della giovane, a fine della giornata di prova il proprietario, squadrandola dalla testa ai piedi, le chiede se fosse a conoscenza della presenza di scale nel negozio e se la sentisse, dato il suo peso, di fare su e giù tutto il giorno. Cosa che, per altro, lei aveva fatto per tutta la durata del turno di lavoro. “Mi ha fatta sentire a disagio e mi ha fatto notare che per lui era un problema che io non indossassi una taglia 38”, ha aggiunto Fabiola ripensando alle parole del proprietario del negozio -. “Mi chiedo se per lavorare in un negozio di casalinghi bisogna essere modelle o bisogna avere particolari requisiti fisici se non la voglia di lavorare”.
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Ma non finisce qui. Fabiola al colloquio non riceve alcuna informazione sulla retribuzione. Lei non chiede, né prima di iniziare a lavorare né durante la giornata di prova. Solo alla fine, scopre che per la sua posizione non era previsto un vero stipendio ma una sorta di rimborso spese. E si sfoga sui social: “Sarei curiosa di sapere se questo signore o chi come lui avrebbe mandato suo figlio a lavorare in un negozio dove si ricevono insulti e ci si fa il culo per 300 euro”.
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Come ha riportato il giornale locale, Fabiola dal giorno dopo non si è più presentata a lavorare: “Ho scelto volutamente di non avvisare, perché credo lo meritassero. Andassero a dire ora che i ragazzi crotonesi non vogliono lavorare: chi ha dignità non accetta di lavorare a queste condizioni e deve andarne fiero. Non sono disposta a farmi insultare per una miseria. Dico al titolare di trovare qualcuna disposta a farlo, però di taglia 38”.
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