Lasciato a lavorare senza protezioni, si ammala anche di Covid, e come se non bastasse l’azienda ha anche deciso di licenziarlo. E’ quello che è accaduto a Hamala Diop, 25 anni, arrivato dal Mali quando ne aveva solo dieci. Lui è uno dei diciotto dipendenti della Ampast, una grossa cooperativa (225 addetti, 127 soci e 6 milioni di euro di ricavi) diretta dal senegalese ‘Ndiaye Papa Waly. Il 7 maggio l’istituto Don Gnocchi ha deciso di dimetterlo definitivamente dal posto di lavoro. I diciotto lavoratori del Palazzolo avevano denunciato pubblicamente le condizioni di lavoro ad altissimo rischio durante la pandemia, con la mancana delle adeguate protezioni di sicurezza. Con un bilancio di 140 decessi da Covid-19 forse non avevano tutti i torti, anche perché tutti e diciotto si sono ammalati.
“Al Don Gnocchi ho iniziato esattamente tre anni fa – ha raccontato Hamala all’Espresso -, il primo giugno 2017 dopo un periodo in una ditta come operaio e un’esperienza in un’altra struttura sanitaria. Mi piaceva fare un lavoro che aiuta la gente e l’Ampast mi ha preso come operatore sanitario con un contratto part-time di 35 ore settimanali da mille euro mensili”. Diop è stato positivo al Covid-19 per cinquanta giorni fra marzo e maggio. Era ancora malato il 17 aprile quando è stato raggiunto da una “dichiarazione di non gradimento dell’azienda nei suoi confronti”, da un sommario procedimento disciplinare e, come si è detto, dall’interruzione del rapporto di lavoro con l’Ampast.
Secondo lo sfortunato lavoratore, la decisione del suo licenziamento è stata presa dopo aver osato scoperchiare la tragedia che avveniva all’interno del gigante della sanità privata. Diop e i suoi colleghi infatti avevano reso di dominio pubblico le loro contestazioni attraverso un comunicato ripreso dalle piattaforme del sindacato Usb e per mezzo di dichiarazioni ai media che l’azienda, in una replica firmata dai legali della Fondazione diffuso il 23 marzo, contesta dicendosi perfettamente in regola con i dispositivi di sicurezza fin dal 24 febbraio. La fondazione parla di “grave e infondata accusa” in relazione all’ordine dato agli addetti di non usare le mascherine per non spaventare i pazienti.
Intanto da quanto emerge da l’Espresso, i vertici del don Gnocchi risultano sotto inchiesta per omicidio colposo e strage colposa, di tenore molto differente rispetto alle dichiarazioni precedenti.
Ti potrebbe interessare anche: Le mascherine contro il coronavirus servono davvero, ma per mantenere le giuste distanze