Due miliardi e mezzo di persone in più rispetto a oggi abiteranno nei centri urbani: nel 2050 sarà ben il 66% della popolazione mondiale a vivere in città. Ma le grandi metropoli si staranno preparando l’emergenza? Il destino dei cittadini sarà profondamente influenzato dai centri in cui vivranno, quindi serve una pianificazione immediata: in Africa e Asia l’80% delle infrastrutture che esisteranno fra 30 anni sono ancora da costruire; nel resto del mondo le grandi metropoli dovranno affrontare emergenze come inquinamento e immigrazione.
Ricky Burdett, Professore di Studi Urbani alla London School of Economics, nella sua intervista con Repubblica , ha esposto le indagini più recenti dell’istituto in merito ai cambiamenti in atto in più di 40 metropoli del mondo. Burdett è a capo di Lse Cities, uno dei più importanti centri di ricerca sulle città al mondo, ed è anche il curatore (insieme a Philipp Rode, direttore esecutivo di LSE Cities) del libro Shaping Cities in an Urban Age, da poco uscito in Italia. Il volume racchiude gli studi del progetto Urban Age, che ha osservato da vicino i cambiamenti di più di 40 città, da Addis Abeba a Hong Kong. Il risultato è un interessante specchio delle metropoli odierne, nonché un prezioso manuale per gli architetti e i governanti del futuro.
“Un modello da seguire è Singapore, città-Stato che al contrario di Los Angeles o Mexico City è cresciuta contenendo l’espansione incontrollata delle periferie. – ha detto Burdett – L’altissima densità di popolazione viene sostenuta da trasporti pubblici efficienti, utilizzati da più del 90% dei residenti. Quest’ultimi godono di grandi sussidi, più dell’85% dei cittadini ha diritto a una casa popolare”.
Singapore quindi un modello da seguire, ma secondo il Professore, altre due città due città stanno lavorando egregiamente per il futuro, correggendo i loro punti deboli: Bogotà e Medellin, che attraverso operazioni di migliorie in più settori, queste due metropoli stanno provando ad attenuare le disuguaglianze economiche e sociali tra i loro abitanti. “Potrebbero essere d’ispirazione anche per le città italiane” – ha affermato Burdett, che ha ripensato alla tragedia del ponte Morandi, di cui afferma di saperne lui stesso qualcosa in merito alla questione in quanto nel 2006 collaborò come consulente con l’amministrazione di Genova: “Già allora si parlava della “terza gronda”, perché si sapeva che le infrastrutture di Autostrade erano logore”.
Con tutti i problemi interni che ha il nostro bel Paese, si fa fatica a pianificare qualcosa, ovviamente anche le Olimpiadi. Eppure Burdett ha spiegato come ospitare questi eventi in realtà porterebbe dei vantaggi: “Sui benefici, non c’è dubbio. L’importante è avere una politica chiara, sapere dove si intende portare una città. Una visione che le amministrazioni italiane non hanno. A Londra, grazie al denaro pubblico e privato per i Giochi del 2012, stiamo accorciando le diseguaglianze economiche tra chi vive nella zona est, più povera, e quella ovest, più ricca. Solo due mesi fa sono stati annunciati investimenti nell’ex villaggio olimpico a est della città (per un totale di 1,1 miliardi di sterline, ndr), dove sorgeranno degli studi Bbc e un nuovo Victoria&Albert Museum.
Un altro esempio di città virtuosa è Copenaghen, dove la crescita economica è stata accompagnata da una diminuzione del consumo di energia pro capite del 30%. “E’ un’ottima notizia: un centro urbano può rispettare l’ambiente senza rinunciare alla sua competitività. – ha sottolineato Burdett – Oggi le città consumano circa il 60-70% dell’energia globale e sono responsabili di circa il 75% dell’emissione di CO2 che avviene nel mondo. Seguendo politiche simili a quelle della capitale danese, le città potrebbero diventare in futuro le soluzioni ai problemi, molto più che i problemi stessi”.
Oltre ad aver parlato della creazione di città più sostenibili e che rispettino l’ambiente, il Professore della London School of Economics, ha sottolineato anche l’importanza della “flessibilità” delle città, e dal modo in cui riusciranno a convertire strutture inutilizzate in centri di accoglienza. Burdett ha ricordato l’esempio di Berlino, dove un hangar dell’ex aeroporto di Templehof è stato usato per ospitare temporaneamente i rifugiati arrivati in Germania. “Una città aperta non deve fare l’errore di costruire strutture ad hoc per i migranti, piuttosto deve puntare su un’architettura che preveda molteplici utilizzi per uno stesso edificio”.
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