Le statistiche dicono infatti che questo è il Parlamento più inoperoso della storia repubblicana: e lo è, per paradossale che possa sembrare, nel momento in cui a conquistare la maggioranza è proprio un movimento che predicava di aprire i Palazzi come “una scatoletta di tonno”. Cento anni dopo l’inaugurazione della Camera, Montecitorio, pur avendo in teoria nell’era giallo-verde forse più senso che mai, si ritrova di fatto svuotato: di persone e di leggi. Le statistiche hanno detto che i più assidui sono 90.
Il simbolo di questa epoca può essere il velista Andrea Mura: eletto con i Cinque Stelle, in piena estate ha chiarito essere più utile fuori del Parlamento che dentro. Dove capitano settimane nelle quali non si sappia cosa scrivere sugli ordini del giorno (esempio: la terza di luglio. Altro esempio: la terza di settembre).
I numeri sono implacabili: due leggi votate nei primi cento giorni del governo, il decreto dignità e il mille proroghe, sedute al ritmo di dieci al mese (67 tra metà marzo a metà ottobre, i dati più recenti), 15 leggi definitivamente approvate, di cui 9 conversioni di decreti legge. Ma forse, anche viste e considerate le circostanze eccezionali di quest’avvio di legislatura (quasi novanta giorni senza governo) vi è anche da dire come quest’esiguità sia forse solo la punta dell’iceberg – per un universo che più che mole di numeri sembra aver perso centralità.Pochi i giorni lavorati, pochissime le leggi discusse: d’altra parte, i primi cento giorni della legislatura passano con i deputati privi pure di uffici assegnati, assisi perciò principalmente sui divanetti del Transatlantico e al massimo intenti a presentare proposte di legge (dopo tre mesi se ne contano 1.259). Ma soprattutto un approccio generale davvero inedito. Lo si vede ad esempio nei question time (le interrogazioni a risposta immediata ai membri del governo): in questa legislatura sono i primi della storia con claque e applausi a scena aperta a sostegno della maggioranza.
Obiezioni sbilenche, approssimazioni, pasticci. Dell’Aula di Montecitorio si fa volentieri a meno. Non è questa, in fondo, l’essenza del Casaleggio-pensiero? “Oggi grazie alla rete e alle tecnologie esistono strumenti di partecipazione decisamente più democratici ed efficaci. Il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile. Al Parlamento resta di garantire che il volere dei cittadini venga tradotto in atti concreti e coerenti. Tra qualche lustro è possibile che non sia più necessario nemmeno in questa forma”.
Secondo i dati di Openpolis, gli eroi quasi sempre presenti nei lavori d’Aula sono in Novanta. Una istituzione semideserta. È vero che, nella seconda Repubblica, la consuetudine di bocciare le dimissioni dei parlamentari faceva sì che anche gli incompatibili conservassero la carica. Ma, come si vede, quanto ai drammi e ai dilemmi dello stare o non stare in Aula, da qualsiasi Aventino si è lontanissimi. Dopo il grillino Mura (poi dimessosi) lo scettro dell’assenteismo va Michela Vittoria Brambilla: in oltre sette mesi di legislatura ha fatto registrare una sola presenza nelle votazioni di Montecitorio (quella in cui ha detto no alla fiducia al governo Conte). Per il resto, ha già dato buca più di mille volte, con un indice di assenteismo del 99,93 per cento.
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