Per uno strano, grottesco principio non nuovo a certe testate vicine al mondo della destra, la drammatica vicenda dell’omicidio di Filippo Limini, per la quale in un primo momento si pensava a un gruppo di albanesi, aveva subito fatto scattare inquietanti paralleli con il caso di Willy Monteiro Duarte. Della serie: ecco, adesso abbiamo un italiano ucciso da stranieri e rispondiamo colpo su colpo alle accuse che ci sono state mosse in questi giorni per non avre preso le distanze dai fatti di Colleferro. E invece il caso di Bastia Umbra ha presto rivelato dettagli che hanno gettato una luce ben diversa. 
Di identico c’è, purtroppo, l’epilogo. Due vicende che raccontano di vite spezzate in maniera terribile, due drammi evitabili, due sorrisi dei quali amici e parenti non potranno più godere. Strumentalizzare i casi e costruirci intorno parallelismi è però, francamente, esercizio grottesco, oltre che un filino inquietante. Perché le analogie tra gli episodi, gravissimi e scatenati da futili motivi, si fermano presto.
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A uccidere Filippo Limini non sono stati degli stranieri, tanto per chiarezza. In un primo momento si era parlato di una banda di albanesi, in maniera errata, poi è emersa la colpevolezza di tre persone di origini rumene ma tutte cittadine italiane. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, inoltre, i tre sarebbero stati aggrediti dal gruppo della vittima e avrebbero poi reagito, causando involontariamente la morte del giovane italiano con una manovra repentina dell’auto fatta per fuggire all’agguato.
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Nessuno vuole giustificare quanto, accaduto, sia chiaro. Ma paragonare i due casi no, è inaccettabile. E l’orrore con cui quattro “persone” si sono accanite per minuti infiniti sul corpo di Willy, ormai in fin di vita, finendolo a calci e pugni non può essere giustificato con dei semplici parallelismi che tirano in ballo altre famiglie colpite da gravi lutti. Chi prova a farlo dovrebbe vergognarsi, nulla di più.
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