Tensione alta, altissima in un governo arrivato ormai ai ferri corti. La storia del testo manipolato, con la denuncia in tv di Di Maio, ha scoperto il celebre vaso di Pandora e liberato in un colpo solo i tantissimi attriti che covavano in seno alla maggioranza gialloverde, in un crescendo che ha spinto gli addetti ai lavori a parlare di una possibile crisi di governo. Uno scontro che si è consumato prima tra Cinque Stelle e Lega, con il viceministro dell’Economia, Massimo Garavaglia, a smontare le accuse M5S. “Decreto manipolato? Lo conoscevano tutti”. E che poi ha coinvolto Conte: il premier, preoccupato, ha convocato il Consiglio dei ministri per sabato 20 ottobre, Salvini ha fatto sapere che nessuno dei suoi si sarebbe presentato. Si è arrivati addirittura alla minaccia di dimissioni da parte dello stesso Conte, come paventato da La Repubblica.
Soltanto in serata, dopo una giornata a dir poco campale, Palazzo Chigi ha smentito le voci di una crisi in atto. Salvini ha fatto retromarcia, annunciando “se serve ci sarò.” Resta la sensazione di un rapporto ormai logoro tra gialli e verdi: il leader del Carroccio, prima di distendere i toni, era stato protagonista di un paio di uscite a dir poco caustiche nei confronti degli alleati di governo. “Stiamo per essere attaccati dall’Europa: se diciamo che il decreto è stato modificato la sera per la mattina da Batman o da Robin, è un problema”. Ironia non gradita al Movimento, che nel frattempo prometteva barricate per bocca di Laura Castelli: “Garavaglia e la Lega ci dicono che approvano una norma che introduce condoni penali e scudi fiscali per capitali all’estero? Allora c’è un problema politico”.
Con simili premesse, quanto potrà durare una pace che sembra sempre più di facciata? Difficile dirlo, anche se a frenare Salvini dalla tentazione di possibili strappi c’è la partita in arrivo sul fronte europeo, passaggio campale che continua a tenere occupati i pensieri del Capitano. Resta una sfida nella sfida, all’interno dell’esecutivo, quella tra Di Maio e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti. Uno che già prima della nascita del governo aveva mostrato poco tatto e zero peli sulla lingua, arrivando a pronunciare un celebre “Di Maio non conta più un cazzo”. Che nei giorni scorsi ha ricevuto bordate da parte del Movimento. E che ora ribadisce: “Io sono una persona per bene. Non consento a nessuno di alludere a complotti e trame oscure, con dichiarazioni così scomposte. Se si continua ad attaccare chi prova a tenere in piedi la baracca, il governo non andrà molto lontano. Spero Luigi Di Maio ci vada davvero, in procura. Scoprirà che la famosa “manina” è in casa loro. Ma occhio, così loro si vanno a schiantare”.
Un uomo solo (per poco) al comando: tutti scaricano Di Maio, il Movimento pronto a silurare il leader che nessuno ama più