L’informazione è il bene più prezioso di quest’epoca. Lo sanno bene i colossi del digitale, da tempo nella bufera per le mire predatorie sui dati sensibili degli utenti. Lo sanno altrettanto bene dalle parti del Fisco italiano, sempre più goloso di notizie che riguardano consumi e abitudini dei cittadini dello Stivale. Tanti gli strumenti a sua disposizione, che in queste settimane sono finiti nel mirino degli analisti, preoccupati dal possibile uso che di queste informazioni può essere fatto. A partire dallo “spesometro”, che obbliga tutti i soggetti Iva a comunicare le operazioni effettuate documentandole con le rispettive fatture. In questo modo è possibile sapere con certezza chi ha deciso di comprare cosa.
Allo “spesometro” si affiancano l’Anagrafe tributaria e quella dei conti correnti, come ricordato da La Verità: la prima contiene le informazioni patrimoniali dei contribuenti mentre l’altra è un registro dove le banche comunicano i contratti stipulati con la clientela. Poi ci sono i registri immobiliari, detenuti dall’ufficio del territorio gestito dall’Agenzia delle Entrate e che riuniscono gli immobili censiti in Italia, con informazioni anche sui rispettivi proprietari. Nel Pra, il pubblico registro automobilistico, ci sono invece i dati relativi a chi è in possesso di una vettura.
Nel casellario giudiziale sono raccolti procedimenti e condanne a carico di una persona, mentre nella Centrale rischi interbancaria, gestita dalla Banca d’Italia, sono indicati inadempimenti o ritardi nei prestiti e nei finanziamenti. Il registro fallimentare elenca gli imprenditori finiti a procedura concorsuale. Il registro Ini-Pec, infine, contiene tutti gli indirizzi di posta elettronica certificata attivi. Una lista quasi infinita di strumenti per indagare attentamente la vita dei cittadini ai quali, tra l’altro, potrebbero a breve aggiungersene altri. Dal 1 dicembre, ad esempio, dovrebbe entrare in vigore il cashback, un mezzo per contrastare l’evasione attraverso la lotta al contante e che comporterà però anche, di fatto, il tracciamento di ogni pagamento digitale.
I dubbi sono sempre gli stessi, di fronte all’introduzione di queste novità: dove finiranno i dati dei cittadini? In quale modo lo Stato li proteggerà da occhi non troppo discreti? Le aziende che si occupano di pubblicità girano da tempo intorno ai siti istituzionali, pronte a carpire preziose informazioni, approfittando di contromisure non all’altezza da parte degli stessi enti che dovrebbero tutelare gli utenti, soprattutto i più sprovveduti. Il rischio, insomma, è sia ormai diventato impossibile non farsi schedare a nostra insaputa.
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