Ricordate l’epoca più buia del nuovo Millennio? Vale a dire il lockdown, quel momento, cioè, in cui ci chiusero tutti in casa, in cui vennero devastate in un colpo solo la società e l’economia. Una misura adottata dal governo italiano per contenere la pandemia, fu oggetto di ampi dibattiti e critiche. La chiusura delle attività economiche e sociali suscitò un acceso dibattito riguardo alla sua efficacia e alle sue conseguenze negative. I lockdown furono implementati con l’obiettivo di ridurre la diffusione del virus e proteggere i sistemi sanitari nazionali da un sovraccarico. Tuttavia, molte persone, inclusi esperti e studiosi, hanno discusso a lungo sugli effetti collaterali di tali misure, evidenziando sia i danni economici che quelli psicologici sulla popolazione. La critica principale riguardava l’idea che i lockdown fossero più dannosi che benefici, compromettendo l’economia e la società in modo profondo e duraturo.
Ministero della Salute e ministero per l’Innovazione tecnologica istituirono subito un “gruppo multidisciplinare” di 74 esperti che, tra gli altri compiti, doveva “supportare i decisori pubblici […] svolgendo attività di studio e analisi” sull’efficacia delle chiusure disposte durante la prima ondata. E a quali conclusioni giunse quella task force? Ne parlano Francesco Borgonovo e Alessandro Rico in un loro articolo pubblicato su LaVerità l’8 maggio.
Il documento prodotto dagli esperti ingaggiati dal governo, risalente all’8 giugno 2020 e riesumato da Robert Lingard, mette in discussione l’efficacia del lockdown iniziato a marzo 2020 e supporta le tesi della “Great Barrington Declaration”. Questa dichiarazione, firmata da alcuni scienziati e medici, proponeva un approccio alternativo alla gestione della pandemia, focalizzandosi sulla protezione delle categorie più a rischio (come gli anziani e le persone con patologie preesistenti) piuttosto che imporre misure restrittive generalizzate.
Gli autori del documento, Borgonovo e Rico, sottolineano che l’idea alla base del documento era simile alla politica adottata dalla Svezia, che mirava a proteggere i più vulnerabili senza ricorrere a lockdown severi. Secondo loro, la Svezia ha ottenuto risultati migliori rispetto ad altri paesi europei che hanno imposto lockdown più rigidi.
Nel paragrafo 2.2 del documento, intitolato “Relazioni fra lockdown e sviluppo dell’epidemia”, gli esperti sostenevano che:
- I flussi di interconnessione regionale (cioè, gli spostamenti tra regioni) non avevano un impatto significativo sulla diffusione del virus. Questo suggerisce che le restrizioni sugli spostamenti interregionali potevano avere un effetto limitato nel contenere l’epidemia.
- Il fattore determinante per la diffusione del virus era l’età, indicando che il rischio di infezione e le conseguenze gravi del virus erano molto più elevate per le persone anziane.
Le evidenze raccolte dagli esperti indicavano che la fascia di età 0-19 anni fosse considerata “più contagiosa”. Tuttavia, Borgonovo e Rico mettono in evidenza un punto chiave del documento: l’importanza di concentrarsi sulla stratificazione del rischio per gli over 60, implementando misure adeguate di distanziamento sociale e fisico per questa categoria. Questo suggeriva che “quarantene parziali” per giovani e anziani potevano essere efficaci nel prevenire un’impennata dei casi di COVID-19.
Le strategie proposte nel documento permettevano alla fascia di età dai 20 ai 60 anni, che comprende la maggior parte della popolazione in età lavorativa, di mantenere una maggiore libertà. Tuttavia, il governo Conte, anche durante la seconda ondata della pandemia, scelse di adottare il modello cinese di lockdown generalizzati.
Inoltre, la task force degli esperti raccomandava “l’esecuzione di test di massa”, con l’obiettivo di ridurre le restrizioni per chi risultava già immune all’infezione, permettendo loro di ottenere certificati di immunità. Tuttavia, questa raccomandazione non fu seguita dal governo, che invece impose la vaccinazione senza fare distinzioni tra chi era già guarito e chi non era mai stato infettato. Successivamente, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) riportò che, in proporzione, erano i vaccinati a infettarsi di più.
Il fatto che il governo non abbia preso in considerazione il parere dei 74 esperti reclutati alimenta il sospetto, come sottolineato da Borgonovo, che ci fossero altri interessi in gioco.