La sperimentazione umana al momento più avanzata in Europa, quella condotta da aprile su un prototipo di vaccino anti Coronavirus dall’Istituto Jenner dell’Università di Oxford in collaborazione con l’azienda italiana Advent-IRBM di Pomezia e finanziata dal governo britannico. Avvolta da grandi speranze ma anche, immancabili, da polemiche su come un’eventuale cura sarà poi lanciata sul mercato. Il ministro delle Attività Produttive inglese Alok Sharma, nel frattempo, ha precisato che la prima fase dei dosaggi sui volontari è stata completata, raccomandando comunque cautela sul risultato finale.
Se il vaccino dovesse funzionare in modo sicuro sugli uomini così come sembra aver fatto su degli esemplari di scimmia, da settembre il colosso farmaceutico AstraZeneca potrebbe produrre 30 milioni di dosi: tutte destinate al Regno Unito per una fase successiva di test. “Per superare questa malattia dobbiamo trovare un vaccino sicuro ed efficace” ha detto Sharma, affermando che “la prima sperimentazione clinica dell’Università Oxford sta progredendo bene” malgrado l’accelerazione dei protocolli a “una velocità senza precedenti”.
Il ministro, come già Johnson, ha insistito che per ora il vaccino è una speranza, non una certezza. Ma ha comunque elogiato i ricercatori britannici e rivendicato “con orgoglio” gli stanziamenti assicurati dal governo Tory sia al progetto di Oxford, sia a quello parallelo di un team dell’Imperial College di Londra che “fa pure progressi”.
Restano le polemiche per una vicenda che vede coinvolta anche un’azienda italiana sulla quale, però, il nostro governo pare non aver voluto puntare, lasciando che fosse Downing Street a prendersi il rischio e gli eventuali onori del successo della sperimentazione. Con il risultato che 30 milioni di dosi del vaccino, dovesse la ricerca andare a buon fine, saranno a disposizione di Londra, mentre non è chiaro nemmeno se l’Italia sia in corsa per i restanti campioni di un’eventuale prima produzione.
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