Un quadro che prende vita, la vita che viene rivelata da un quadro
Non è il primo film su Van Gogh e, di certo, non sarà l’ultimo. Ma Loving Vincent promette di far sognare, proponendosi al pubblico come un esperimento artistico senza precedenti.
Ci sono voluti 6 anni di lavoro, 125 artisti coinvolti nel progetto e 65mila inquadrature per dar vita a quello che si preannuncia come il thriller più coinvolgente della storia dell’arte contemporanea. Il mistero sugli ultimi giorni di vita del pittore più amato di sempre si svolge davanti ai nostri occhi, con gli occhi di Van Gogh, attraverso i suoi personaggi e i suoi paesaggi, dalla nostra mente alla sua anima tumultuosa.
Leggi anche: Investire sull’arte italiana, segnali di ripresa: Christie’s fa il punto sul primo semestre dell’anno
Il primo film interamente dipinto su tela
Loving Vincent è l’arte oltre l’arte, è il cinema oltre il cinema, è la vita di un artista che si trasforma in narrazione.
Quante volte, soffermandoci languidamente a guardare un quadro, ci siamo persi nelle pennellate dell’autore, desiderando che i soggetti davanti a noi prendessero vita? É esattamente quello che accade nel film, stavolta succede davvero. Ogni singola inquadratura è stata prima dipinta, e poi trasferita sul grande schermo, per realizzare ciò che non era mai stato fatto prima d’ora. Una tecnica precisa, innovativa, volta ad immergere lo spettatore nell’universo di Van Gogh, tra il cielo stellato e i covoni di grano, da una camera disadorna ad un bistrot di Parigi.
La trama tiene col fiato sospeso: ad un anno dalla morte di Van Gogh, il giovane figlio del postino, Armand Roulin, intraprende un viaggio alla volta di Auverse – sur – Oise, il piccolo paesino di campagna dove il pittore ha trascorso gli ultimi giorni di vita. La sua ricerca della verità rappresenta il viaggio dello spettatore per catturare almeno un frammento di quella che deve esser stata una vita tanto emozionante quanto tormentata, avvolta in una magia impalpabile e suggestiva, nascosta dietro i colori e le forme di quei quadri così familiari.
Il trailer del film
Tecnologia e arte al servizio dello spettatore
Loving Vincent non è una nuova biografia, ma rappresenta la svolta decisiva che ancora mancava nel rapporto tra storia dell’arte e narrazione cinematografica.
La pittrice polacca Dorota Kobiela e il regista inglese Hugh Welchman l’hanno diretto a quattro mani, realizzando il sogno di una vita. “Ci sono tantissimi biopic che raccontano la storia degli artisti, prediligendo la sfera personale o scegliendo e insistendo su un aspetto della vita di un pittore. È la parte umana che vince su quella artistica. Ma quello che volevamo fare noi era un ulteriore passo avanti rispetto a ciò che è stato fatto finora: servirci dell’arte per narrare la storia del personaggio”, afferma Kobiela.
Gli attori che si sono prestati ad interpretare i personaggi dei quadri dell’artista olandese portano sullo schermo la vera vita di Van Gogh. Vincent dipingeva solo chi conosceva, per questo scavare nella complessità dei suoi universi equivale ad esplorare il mistero della sua morte. Cosa è successo? Perché il noto pittore ha messo fine alla sua esistenza? Il film prova a rispondere, indagando sulla faziosità dell’intera vicenda. Per questo, il regista e la pittrice hanno letto e riletto per anni le 800 lettere appartenute a Van Gogh. ”La parte più complessa è stata completare la sceneggiatura, costruire una storia a partire dai quadri”. D’altra parte è solo dai capolavori del maestro, dalla passione e dalla confusione che impregna le pennellate, che possiamo intuire la percezione di un animo in tumulto, di un desiderio di approvazione e ribellione al tempo stesso, regalandoci quella inquietudine tanto cara che, grazie all’arte, vivrà per sempre.
Leggi anche: Il Business dell’arte: la classifica dei 10 quadri più costosi al mondo