Il critico Usa stronca i Maneskin: “Sarebbero loro il gruppo che salverà il Rock and Roll?”.
Spencer Kornhaber, sarcastico autore di critiche musicali per l’amatissima rivista The Atlantic, stronca i nostri musicisti di punta nel giro di due paragrafi.
Sembra essere la giornata delle critiche contro la rock band romana, che ha incassato la pesante bocciatura di un gigante della musica colta italiana, il violinista e compositore Uto Ughi, che li considera un insulto alla cultura tricolore.
Divertente e sapido l’aneddoto del giornalista di Brooklyn, datato 18 gennaio, ma si riferisce ai concerti dicembrini del gruppo nella metropoli del Distretto di New York.
I tre giorni che il gruppo di Damiano David ha dedicato al pubblico statunitense avrebbero dovuto lanciare alla grande il loro ultimo lavoro, “Rush!”. Ma la critica non è più così compatta nel celebrare i Maneskin.
L’articolo di Kornhaber è un esempio.
“In un negozio di cianfrusaglie di Brooklyn, un’impiegata mi consiglia quale calzino originale abbinare a quale buffo biglietto d’auguri per un’amica”, esordisce il giornalista.
“Poi la sua voce, prima curiosa e chiacchierona, diventa improvvisamente seria. Mi racconta di un concerto a cui è andata la sera prima. Il gruppo era italiano, stava salvando il rock and roll, e avrebbe suonato di nuovo in città, quella sera stessa”.
“improvvisamente capii la differenza tra una commessa e un’evangelista. La donna mi diede un ordine: Devi andare a vedere i Måneskin!”.
“Non ci andai”, scrive la firma dell’Atlantica. “Ma sapevo bene chi fossero i Maneskin”.
“Ho conosciuto il gruppo per la prima volta partecipando a una festa di presentazione dell’Eurovision Song Competition del 2021. Nessuno riusciva a capire perché una band da baretto in pelle bordeaux, che suonava come una canzone dei Rage Against the Machine montata per una pubblicità della Chevy, si fosse aggiudicata il primo premio”.
E poi la stilettata finale: “L’Eurovision è noto per lo spettacolo in stile ABBA, sciocco e brillante. I Måneskin sono invece caratterizzati da un’espressione corrucciata e da chitarre che sembrano carburatori. Ma è chiaro che la band aveva scatenato la passione da qualche parte, il tipo di passione che, a quanto pare, converte gli ascoltatori in proseliti”.