L’Italia, in fatto di nuove tecnologie, sta facendo importati passi in avanti. A dimostrarlo qualche giorno fa è stata la notizia dell’impianto di una mano bionica attraverso la quale una paziente ha avuto la possibilità di recuperare il senso del tatto. Questo intervento a dir poco rivoluzionario è stato effettuato al Policlinico Gemelli di Roma ed il riscontro è stato più che positivo.
Basti pensare al fatto che per ben sei mesi la paziente ha indossato l’arto impiantato non solo in laboratorio ed è riuscita a svolgere ogni genere di attività senza alcun problema.
Mano bionica: ecco come è stata impiantata
La mano bionica è stata impiantata nell’arto della paziente nel mese di giugno dell’anno 2016 da Paolo Maria Rossini, un noto neurochirurgo che lavora presso il Policlinico Gemelli di Roma. Ad aver realizzato la mano bionica è stato un team di ricercatori con a capo Silvestro Micera, un neuro ingegnere della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa oltre che del noto Politecnico della città di Losanna.
Come è facile intuire, i risultati di questa innovazione diventeranno protagonisti di una pubblicazione destinata a passare alla storia. Per quanto riguarda la dinamica dell’intervento, il chirurgo ha reso noto che i primi esperimenti sono stati messi in atto già nel 2009 e che le paziente italiana è stata la prima ad usufruire dell’impianto per ben 6 mesi e non solo all’interno dei laboratori.
Come è stato chiaramente spiegato, infatti, la donna ha condotto una vita del tutto normale, trascorrendo le proprie giornate senza curarsi troppo dell’impianto e fornendo preziose informazioni ai ricercatori in merito, appunto, all’utilizzo della mano bionica.
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Il funzionamento della mano bionica
Il meccanismo che sta alla base del funzionamento della mano bionica è semplicissimo: l’arto artificiale, infatti, è dotato di particolari sensori che riescono a rilevare tutte le informazioni necessarie per individuare la consistenza di un particolare oggetto. Tutte le informazioni reperite vengono, poi, inviate in tempo reale ad un computer presente in uno zaino che ha il compito di convertire tali dati in una lingua comprensibile da cervello.
In buona sostanza, proprio il cervello ha la possibilità di recepire uno stimolo molto simile a quello fornito dal tatto. A trasmettere i dati al cervello ci pensano degli elettrodi che vengono impiantati nel braccio. Durante i test, ad esempio, la paziente è riuscita a distinguere un oggetto duro da uno morbido ad occhi bendati. Una vera e propria rivoluzione, dunque, che consentirà a tutti i pazienti di tornare a vivere e toccare, quasi come se avessero ancora il proprio arto.
Alla paziente l’impianto è stato tolto dopo soli 6 mesi ma, stando alle dichiarazioni dello staff, l’obiettivo da raggiungere è quello di consentire ai pazienti di usufruire in maniera perpetua di questa innovazione epocale. Addirittura, pare che all’orizzonte ci sia l’idea di miniaturizzare tale tecnologia in modo tale da renderla molto più fruibile.
Quella che poteva sembrare la trama di un film di fantascienza, dunque, si è trasformata in vita reale e, pertanto, non resta altro da fare che attendere un ulteriore impulso da parte dei ricercatori al fine di consentire ad un vasto numero di pazienti di poter beneficiare di questa tecnologia grazie alla quale riuscire a tornare a sentire attraverso tutti i sensi, tatto compreso.