Il Parlamento è stato chiamato a votare la manovra in tarda notte, senza neanche il tempo di leggerla. Con questo atto è stato ufficialmente umiliato e declassato dall’attuale governo. Un gesto istituzionalmente gravissimo e che dà bene l’idea di quale sia la linea gialloverde. Soldi sparsi qua e là, tra una mancia a Crotone, una a Reggio Calabria e un bel condono di Natale, su misura per i finti poveri che frodano il fisco, altra tomba dell'”onestà, onestà” grillina. Cifre coperte fino all’ultimo minuto utile, come in un gioco delle tre carte in cui con l’indebitamento futuro si pagano quota cento e reddito di cittadinanza.
Misure buone per mietere voti alle Europee, anche se sforbiciate di quattro miliardi, dopo la grande sottomissione a Bruxelles. Missione compiuta, dunque: 167 sì, 78 no, 3 astenuti. È l’arroganza di un potere che si sente onnipotente, comprimendo tempi, discussione, diritti delle minoranze, con lo strafottente pressappochismo di conti che arrivano tardi e pure scritti con sciatteria. Anche questo tipico di Lega e Movimento 5 Stelle.
La scena è surreale, quando a metà pomeriggio, in commissione bilancio, arriva finalmente il maxi-emendamento e si scopre la manovra “nascosta”, con quattro commi sbagliati nei numeri, altri ripetuti tre volte, come una brutta copia scritta in fretta. Surreale come il governo che scompare per un’ora, per la bella copia e qualche fotocopia, con i parlamentari del Pd che urlano fuori dalla porta della presidenza, “fuori il testo”, “ma la trasparenza dov’è?”.
A un certo punto viene stralciato il comma sugli Ncc, la cui variazione è affidata a un consiglio dei ministri notturno, il che può apparire un dettaglio ma un dettaglio non è, anzi è una clamorosa violazione delle regole, perché non si può togliere un comma, se già c’è stata la bollinatura della ragioneria. Scelta politica, giustificata come regolamentare, come politico era il rogo delle bandiere pentastallate bruciate dai lavoratori degli Ncc.
Il testo arriva in Aula solo in tarda sera, in un clima da bolgia: ecce la manovra dettata da Bruxelles. Aula sospesa, più volte, rissa quasi sfiorata. I parlamentari dalla maggioranza non intervengono mai nella discussione: il loro compito è solo ratificare, obbedire, eseguire. L‘annullamento del processo democratico è quasi peggio della manovra stessa. Istituzioni vissute come un impiccio da cui liberarsi, luogo da cui tenersi lontano, perché la politica populista è altrove, affidata alla comunicazione del “fatto, fatto, fatto” di Luigi Di Maio.
Di Maio che, preso dalla solita ansia social, posta pure la tabella sbagliata. Poi viene criticato dai suoi su facebook, perché il grafico pubblicato dimostra che l’occupazione era salita ai tempi in cui Renzi aveva dato gli sgravi fiscali alle imprese. Che siamo matti ad ammetterlo così, pubblicamente?! La sua superficialità poi viene mascherata dalla solita colpa ai soliti tecnici, capri espiatori della politica dell’improvvisazione.
Il processo di governo, dunque, non è più istituzionale, ma extra-istituzionale, tutto proiettato “fuori” e rivolto all’opinione pubblica da conquistare. Banchi del governo vuoti, quando inizia la discussione sulla manovra. I due grandi dioscuri del governo sono altrove. L’imbarazzo dei pentastellati è palpabile, in una giornata che certifica ciò che non sono più, o come avevano previsto in tanti: cioè che non sono mai stati. Un testo votato al buio, di notte, è la clamorosa smentita di sé dell’M5s.
Solo qualche anno fa invocava l’apertura della scatola di tonno e la sacralità del Parlamento profanata da Renzi (ma dove?! Anche sulla fiducia: ne hanno chieste più loro in 6 mesi che lui in tre anni). Il Pd chiede di essere ricevuto da Mattarella, “perché quel che sta accadendo è inaudito”. Questa giornata di sicuro segna uno spartiacque nella vita democratica italiana: la chiusura sostanziale del Parlamento.
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