Entro un mese Montecitorio dovrà approvare la manovra di bilancio che il governo Meloni presenterà entro domani, ma non è finita la partita dei contrappesi nella maggioranza.
Nel retroscena pubblicato oggi da Repubblica, la Lega è interessata a intestarsi ulteriori provvedimenti, mentre Forza Italia si impunta sulle pensioni minime, al punto da aver minacciato l’entrata in esercizio provvisorio che potrebbe portare la discussione sul bilancio ben oltre la fine del mese di dicembre.
Di fronte alla possibile manovra a tenaglia degli alleati minori, Fratelli d’Italia ha cercato di restringere all’osso gli emendamenti alla manovra sui quali si dovrà effettivamente votare: non più di uno a testa, per un totale di 400.
La battaglia sarà aspra, perché i fondi da piazzare nelle quote dei partiti e in dotazione alla Camera per gli interventi di partito non supereranno più di 500 milioni invece di un miliardo.
In quest’ottica, si possono intuire i mal di pancia di fronte al colloquio in calendario domani tra la premier, Giorgia Meloni, e il leader di Azione, Carlo Calenda.
Il punto è che Berlusconi è piccato per non essere stato convocato in un vertice politico che avesse preceduto la manovra, così come il forzista Giorgio Mulè ha definito la manovra giusto “una tisana”, per non ricalcare la critica virale del giornalista devoto a Berlusconi, Mario Giordano, che l’aveva definita “un brodino”.
E la Lega di Salvini non vuole essere da meno. Già rivendica azioni non del tutto certe come Quota 103, la flat tax allargata per le partite Iva, il ponte sullo Stretto, l’esenzione Imu ai proprietari di immobili occupati, l’esclusione dalle sanzioni per gli esercenti che rifiutano il Pos per acquisti sotto i 60 euro.
Ma non basta, Salvini punta ad alzare la soglia dei condoni fiscali per cartelle esattoriali oltre i mille euro, a portare la rateizzazione da 5 a 7 anni, a ripristinare lo sconto sulla benzina.
E poi la sua versione dello sfregio al Reddito di cittadinanza, come da indicazioni del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara: niente assegno ai giovani che hanno lasciato la scuola.