Si chiamava Marianna Manduca, aveva 32 anni, ed era mamma di tre bambini. La sua giovane vita è stata stroncata la sera del 3 ottobre del 2007 da Saverio Nolfo, 36 anni, suo ex marito. Un’aggressione che si è consumata in strada, con sei coltellate fatali. Marianna aveva provato ad allontanare l’ex sporgendo ben dodici, che a quanto pare nessun magistrato aveva voluto leggere. Prima di morire, Marianna Manduca stava scrivendo un diario, una sorta di testamento, cui ha affidato il racconto dell’orrore che ogni giorno era costretta a vivere sulla sua pelle, con il timore che quel giorno potesse essere sempre l’ultimo. Nella testimonianza pubblicata da Repubblica nel long form sul femminicidio di Palagonia, si possono leggere alcune tracce delle sconvolgenti pagine del diario della donna, in cui raccontava di quello che era il vero problema di suo marito: l’eroina. Quando ormai si era accorta di quella dipendenza, Marianna aspettava già il primo figlio e Saverio l’aveva convinta che sarebbe riuscito a smettere.
“Sono Marianna Manduca, la mia è una storia vera, fatta di violenze, sopraffazioni e quotidiane umiliazioni. Il mio ex non riesce a tollerare che io abbia alzato la testa, lasciandolo e denunciando le violenze. Per questo ha deciso, per ritorsione e vendetta, di colpirmi nell’unico mio vero punto debole: i figli. Allego 12 querele”. Prima di essere uccisa a coltellate dall’ex marito, denunciato dodici volte per violenza domestica e a cui incredibilmente erano stati affidati i figli, Marianna aveva steso un memoriale indirizzato al Tribunale dei Minori, per chiedere che i suoi tre bambini fossero collocati presso di lei e non al domicilio del suo ex. Nello spiegare le ragioni della sua legittima richiesta, Marianna ha raccontato tutto l’orrore della vita coniugale con il Nolfo e tutte le angherie e i ricatti che ha dovuto subire per aver deciso di lasciarlo.
Anatomia di un femminicidio
Il racconto comincia con i primi momenti di vita di coppia dopo le nozze a Palagonia. “Fin da subito – ha scritto Marianna – mi resi conto di avere sposato una persona completamente diversa da quella che avevo conosciuto. Tra me e lui, infatti, c’era l’eroina. Quando l’ho scoperto ero già in attesa del nostro primo figlio. Lui promise che avrebbe fatto di tutto per disintossicarsi. Accettare quella condizione ha messo letteralmente fine alla mia vita di donna e di madre. Ben presto lui capì che non sopportavo più quella vita – ha proseguito Marianna – Da quel momento cominciò a odiarmi e a picchiarmi con inaudita violenza. Mi diceva che nessuno mai avrebbe creduto alle mie storie, perché lui era più furbo dei giudici”. La condizione di prostrazione di Marianna peggiora di giorno in giorno. “Non uscivo più di casa. Aspettavo la mia razione quotidiana di botte rassegnata. Lo facevo per evitare che quella bestia rivolgesse le sue attenzioni contro i miei genitori e contro i miei figli. La mia formazione culturale, l’ambiente in cui avevo sino ad allora vissuto, non mi aveva preparato a tanto. È per questo che non ho mai avuto il coraggio di raccontare ad anima viva quello che stavo vivendo. Provavo una infinita vergogna”.
La presa di coscienza di Marianna sulla condizione coniugale in cui viveva non fa che peggiorare le situazione. La donna infatti decise di lasciare la causa coniugale, con la conseguenza però di non poter portare con sé i suoi bimbi. Il minore ha appena due anni, porta ancora il pannolino. “Da allora non ho più rivisti il Giudice ha preferito affidarli al mio ex marito, consentendomi di tenerli con me solo tre volte alla settimana per tre ore”. Con il passare del tempo i bambini iniziano a manifestare la voglia di tornare a stare con la madre, ma di fronte a quella reazione l’ex si accanisce contro Marianna per toglierle del tutto il diritto di vederli. “Ha cominciato a impedirmi di fatto il mio esercizio del diritto di visita in maniera sempre più violenta. L’unica mia speranza era il giudice della separazione, il cui procedimento era stato da me stessa invocato. Ma è stato tutto vano e allo stesso tempo incredibile. Molte volte ho pensato che forse sarebbe stato meglio non denunciarlo. Ma è una debolezza che dura solo qualche minuto”.
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