Matteo Messina Denaro si trova per la prima volta nella sua vita in carcere, nell’istituto di massima sicurezza dell’Aquila a scontare il 41bis, nonostante le sue precarie condizioni di salute. In attesa che l’ultimo padrino della mafia corleonese si decida a vuotare il sacco con gli inquirenti, cosa che potrebbe anche non avvenire mai, le indagini si stanno concentrando sui covi del boss scoperti in provincia di Trapani, sua terra di origine dalla quale forse non si è mai spostato durante questi 30 anni di latitanza. Oltre ad oggetti di alto interesse, gli investigatori sono riusciti anche a scoprire quanto il mafioso spendeva al mese per mantenere il suo alto tenore di vita.
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Ecco quanto spendeva al mese Matteo Messina Denaro
Nel salotto del suo covo di Campobello di Mazara, Matteo Messina Denaro passeggiava davanti al poster di Marlon Brando nei panni del protagonista del film di Francis Ford Coppola, Il Padrino. È questo uno dei retroscena pubblicati da Repubblica. Sulla sua scrivania, il boss teneva una serie di cartelle in cui erano catalogati appunti e documenti. Aveva pure diario personale, dove scriveva il suo pensiero anche sulla politica nazionale. Su un altro taccuino, invece, erano entrate tutte le entrate e le uscite finanziarie. Gli inquirenti hanno calcolato che avrebbe speso circa 10mila euro al mese.
Insomma, nonostante la latitanza, Matteo Messina Denaro non ha mai rinunciato a godersi la vita, tra ristoranti, negozi di lusso e belle donne. Oltre al covo di via Cb 31, a Campobello di Mazara, il Servizio centrale operativo della polizia ha anche perquisito un appartamento al primo piano di una palazzina in via San Giovanni 260. Proprio lì accanto ci abitava Giovanni Luppino, l’autista di Matteo Messina Denaro arrestato poi insieme al boss.
L’autista del boss nega tutto
Lo stesso Giovanni Luppino, interrogato dal gip nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto, ha negato più volte di essere stato a conoscenza della vera identità di Andrea Bonafede, nome utilizzato dal boss. “Non sapevo che fosse Messina Denaro, solo un pazzo avrebbe potuto accompagnarlo sapendo che si trattava del boss. – dichiara Luppino – Mi ha detto solo che era il cognato di Bonafede e che si chiamava Francesco, poi mi ha chiesto un passaggio a Palermo”. Versione che ovviamente non ha convinto il pm Pierangelo Padova. “La fiducia e il legame con i suoi fiancheggiatori ha contribuito alla latitanza di Messina Denaro, custode di segreti di alcune delle più cupe pagine della storia repubblicana”, scrive il magistrato.
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