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Pd, è scissione: Matteo Renzi se ne va e fonda “Azione civile”

Lo si diceva da tempo, ma adesso il momento è davvero arrivato: Matteo Renzi lascia il Partito Democratico. L’ex presidente del consiglio ha preso la decisione e crea un suo movimento che si chiamerà “Azione Civile”. L’ex segretario è pronto alla scissione dopo il no di Zingaretti alla sua proposta di un patto con il MoVimento 5 Stelle per portare avanti la legislatura e rovinare così i piani a Matteo Salvini, il quale andando a elezioni ora, e con il centrodestra unito, capitalizzerebbe tutto il consenso e rischierebbe di sfiorare addirittura il 50% con la sua coalizione.

L’argomento del nuovo partito era stato lasciato completamente fuori dall’intervista di Maria Teresa Meli pubblicata dal Corriere della Sera, ma adesso, annuncia Annalisa Cuzzocrea su Repubblica, l’ex premier si prepara a far nascere nuovi gruppi parlamentari, che si chiameranno “Azione civile”, portando via da quelli del Pd i suoi fedelissimi.

Poi, se si andrà ad elezioni, nascerà un vero e proprio partito con una sua lista. I tempi? Potrebbe accadere tutto nei giorni del dibattito al Senato sul governo Conte. Ieri sera l’ex premier è apparso a quelli che gli hanno parlato più che mai deciso a tagliarsi i ponti dietro le spalle: “La misura è colma, non possiamo più restare in un partito dove tutti i giorni ci attaccano”. Ma dice di volere una separazione consensuale, ipotizzando di portarsi via dai gruppi del Pd più o meno la metà dei parlamentari.

Che vorrebbe dire circa 25 al Senato e più di 50 alla Camera. Anche se Nicola Zingaretti è convinto che a palazzo Madama alla fine lo seguiranno non più di una ventina.

E poi bisogna fare i conti con il nuovo regolamento del Senato che impedisce la nascita di altri gruppi se non corrispondono a partiti che si siano presentati alle elezioni. Paradossalmente la resa dei conti non avverrà perché il segretario vuole dialogare con i 5Stelle ma, al contrario, perché vogliono farlo i renziani dopo aver osteggiato per oltre un anno ogni ipotesi di avvicinamento.

I numeri in ogni caso non basterebbero per far nascere un “governo istituzionale”, formula utilizzata ieri per far mandare giù ai #senzadime il boccone dell’alleanza con il M5S. Ci vorrebbe qualcun altro, magari LEU e Forza Italia. C’è da dire che grazie alla gestione delle candidature da parte dell’ex segretario oggi Renzi ha la maggioranza nei gruppi parlamentari del PD: per questo Rosato ieri ha lanciato l’idea del voto nei gruppi per dire sì o no al governo istituzionale.

Ieri, intanto, racconta Monica Guerzoni sul Corriere, ad aprire alla proposta di Renzi oltre a Franceschini è arrivato Goffredo Bettini, uno degli uomini più vicini al presidente del Lazio: “O si dà vita ad un governo di lungo respiro, con una maggioranza chiara e un programma condiviso, o è meglio andare a votare, come ha detto Zingaretti”.

Dove la formula “lungo respiro” è studiata per tranquillizzare anche i parlamentari di Forza Italia, spaccati tra chi è attratto dalle sirene di Salvini e chi vuole restare leale a Berlusconi. In ogni caso la proposta istituzionale di un governo con tutti dentro e contro Salvini ha già prodotto un effetto: il Capitano è sceso a patti con Berlusconi presentandogli la sua proposta per andare insieme alle elezioni.

 

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