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Microplastiche nei cibi, ecco quali sono i più contaminati e cosa c’entrano con il cancro del colon. Tutto quello che devi sapere

Negli ultimi anni, si è assistito ad un aumento a livello globale del 79% dei tumori a esordio precoce, un dato che fa rabbrividire. Secondo un rapporto dell’American Cancer Society, il cancro del colon-retto è diventato la principale causa di morte per cancro negli uomini di età inferiore ai 50 anni e la seconda nelle donne sotto i 50 anni. L’Università del Missouri-Kansas City ha rivelato che le diagnosi di cancro del colon-retto nei bambini tra i 10 e 14 anni dal 1999 al 2020 sono aumentate del 500%. I casi tra i ragazzi dai 15 ai 19 anni sono cresciuti di oltre il 300%, e per i giovani tra i 20 e 24 anni, invece, si è registrato un aumento del 185%.
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Ma quali potrebbero essere le cause di questa crescita esponenziale? A finire sotto la lente d’ingrandimento degli scienziati ci sono soprattutto le microplastiche contenute nel cibo. Uno studio condotto dall’Università di Newcastle (Australia) ha infatti rivelato che ogni settimana assumiamo l’equivalente in microplastiche di una carta di credito.

“Le microplastiche sono un materiale misterioso per noi”, ha sottolineato il professor Bardelli dell’Università di Torino, “ma non sappiamo se siano tossiche in sé o se causino infiammazioni che a loro volta favoriscono il tumore. In ogni caso il nostro organismo di fronte alla plastica non sa come comportarsi. Non l’ha mai conosciuta durante l’evoluzione. Non ha meccanismi per disfarsene”.

Ma le microplastiche nel cibo dove si trovano? Cosa comportano, e come difendersi? Secondo uno studio pubblicato nel 2019 su Environmental Science & Technology e condotto dalla canadese University of Victoria, si stima che una persona possa ingerire da 39 mila a 52 mila particelle di plastica all’anno, solo tramite cibo e acqua.

Fra gli alimenti più contaminati c’è l’acqua in bottiglia: spesso non si pensa all’imbottigliamento in plastica, fatto proprio con materiali che poi andranno a degradarsi molto lentamente, rilasciando delle microparticelle nell’acqua. Poi: molluschi e pesci, cozze in testa. Il mare è il maggior ricettacolo di microplastiche, dunque i suoi “abitanti” ne ingeriranno in quantità. Questo vale soprattutto (ma non solo) per i molluschi bivalve, come le cozze, che hanno proprio la funzione di “filtrare” l’acqua. E ancora: il sale marino, la birra, il miele, la carne, i legumi e soft drink di varia natura.

Fra i piatti a base di pesce più contaminati, ecco i frammenti di plastica a singolo pasto:

  • gamberetti impanati: tra i 370 e i 580;
  • bastoncini di pesce: tra i 58 e i 57;
  • gamberetti bianchi lavorati: tra i 54 e i 87;
  • gamberetti rosa freschi: tra i 49 e i 36;
  • gamberetti rosa lavorati: tra i 42 e i 39;
  • merlano fresco: tra gli 11 e i 16;
  • merlano lavorato: tra i 9 e i 17;
  • gamberetti bianchi freschi: tra i 10 e gli 11.

Fra i cibi a base di carne, ecco quelli dai più frammenti di plastica a singolo pasto:

  • nugget di pollo: tra i 62 e i 78;
  • controfiletto di manzo: tra i 25 e i 38;
  • lombata di maiale: tra i 2 e i 4;
  • petto di pollo: tra i 2 e i 3.

Fra i prodotti con i maggiori frammenti per singolo pasto, si elencano:

  • nugget vegetali: tra i 73 e i 90;
  • bastoncini vegetali, sostitutivi di quelli di pesce: tra i 46 e i 59;
  • carne vegetale: tra i 10 e gli 11;
  • preparati a base di tofu: tra i 3 e i 7.

Per frutta e verdura, l’Università di Catania è riuscita a identificare microplastiche inferiori ai 10 micrometri, con i seguenti risultati per grammo:

  • mele: 195.500;
  • pere: 189.500;
  • broccoli: 126.150;
  • carote: 101.950;
  • lattuga: 50.550.

A questo punto una domanda sorge spontanea: come difendersi dalle microplastiche? L’unica soluzione, al momento, è mettere in atto dei comportamenti che aiutino a ridurne il consumo e quindi il rischio di abuso. Come suggerisce il portale Cookist.it, è importante diminuire “il consumo delle specie che si trovano all’apice della piramide alimentare, come tonni, pesci spada e salmoni, optando per specie dal ciclo vitale breve, come la palamita, le triglie, il nasello, lo sgombro, le acciughe, le sarde, la gallinella, il tombarello e l’occhiata, perché non accumulano molti inquinanti e si riproducono più velocemente”. Poi si potrebbe ridurre il consumo di molluschi bivalvi come cozze, vongole, ostriche. E ancora: “Privilegia l’acquisto di prodotti sfusi o imballati in materiali naturali e biodegradabili al 100%”. Infine, “cerca di bere acqua del rubinetto ma filtrandola con una caraffa apposita e cambiando regolarmente i filtri”. Per verdura e frutta, bisogna informarsi sulla provenienza, cioè sullo specifico terreno dove i prodotti sono stati coltivati, “così da essere sicuro che non si trovi in una zona ad alto rischio di inquinamento”.

L’allarme è lanciato: agire è doveroso, per la salute nostra e delle future generazioni.

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