Comincia a entrare nel vivo la lotta per la leadership all’interno di un Partito Democratico al momento più debole che mai, ancora intontito dalla batosta elettorale del 4 marzo e dilaniato da infiniti contrasti interni. Tra i pretendenti al trono Marco Minniti, che ha ufficialmente avanzato la propria candidatura specificando subito di non essere il candidato di Renzi, nonostante l’appoggio di molti renziani che lo sostengono come avversario del favorito, Nicola Zingaretti.
Una proposta, quella di Minniti, che stando a quanto scrive Mario Ricciardi su L’Espresso è emblematica di come Renzi abbia analizzato l’ultima sconfitta: insiste sul tema della sicurezza, ignorando che gli elettori abbiano voluto punire il Pd per delle
politiche economiche squilibrate, che non hanno saputo sostenere per tempo quella parte del paese che non si sentiva protagonista della narrazione renziana, “tutta fatta di eccellenze, campioni e vincenti”. Il candidato alla segreteria, invece di partire da lì, punta tutto sulla paura.Scendendo così sul terreno preferito dalla destra nazionalpopulista, che proprio sul tema sicurezza ha costruito le sue recenti fortune. “Si manifesta in questo modo la curiosa tendenza, messa in luce da diversi studiosi, dei neoliberali a scivolare verso politiche securitarie tutte le volte che hanno incontrato problemi sul piano del consenso”. Si segue, di fatto, Matteo Salvini e la sua agenda, proponendo non un’alternativa totale alla Lega, ma soltanto qualche differenza.
“Un neoliberalismo soft fuori tempo massimo. Che non sarebbe in grado di fare i conti con le grandi sfide che il futuro ci impone, da quella di un’Europa più solidale a quella del cambiamento climatico”. Minniti rischia di avvicinare il Pd alla Lega. Il tutto in una fase delicatissima in cui il partito è ai minimi storici di appeal sugli italiani: soltanto uno su dieci, sondaggi alla mano, si dice interessato a quanto sta accadendo tra le fila dem.
La scalata del “re delle spie”: chi è davvero Marco Minniti, l’uomo pronto a conquistare il Pd