“Non facciamo l’errore di confondere la burocrazia con il codice degli appalti”. Alfonso Sabella, giudice presso il Tribunale del Riesame di Napoli, è stato pm antimafia, cacciatore di boss latitanti e poi arrestati, da Bagarella a Cuntrera passando per Giovanni Brusca e il resto del pantheon di Cosa Nostra. Nel 2015, ai tempi della giunta Marino, è stata la parentesi rosa tra Mafia Capitale e la paralisi della giunta Raggi ricoprendo l’incarico di assessore alla Legalità in Campidoglio. E Sabella ora spiega cosa c’è di vero nella lotta gialloverde al Codice degli appalti.
“Occorre chiamare le cose col proprio nome: dopo la burocrazia, il secondo problema nelle nostre pubbliche amministrazioni è l’incapacità e l’inadeguatezza di dirigenti, funzionari e impiegati”. Nel pomeriggio Lega e 5 Stelle hanno trovato un nuovo accordo sul testo dell’emendamento al decreto sblocca appalti che congela nei fatti il Codice degli appalti approvato nel 2016 per fronteggiare l’ennesima emergenza corruzione e infiltrazione della criminalità negli appalti pubblici.
Salvini e Di Maio sono divenuti dunque i protagonisti della Caporetto delle battaglie anticorruzione portate avanti in questi anni. Secondo Sabella “il problema non sono le norme, gli articoli del Codice degli appalti… Il problema in Italia è una classe di amministratori per lo più inadeguata, selezionata non per merito ma per nepotismo e parentopoli varie. È chiaro però che la gara nel piccolo comune non deve seguire la prassi di quelle di grandi enti pubblici”.
“Il problema è che io sento solo parlare di regole da congelare per due anni e mai qualcuno che sollevi il problema della formazione. Ripeto: facciamo corsi di aggiornamento al personale amministrativo, assumiamo giovani che sanno usare il web e vedrai come improvvisamente sarà tutto più facile e anche regolare e trasparente”.
“Chi non fa non sbaglia. E infatti la nostra amministrazione non è capace di spendere. E la paralisi è il problema di questo paese. Il Codice degli appalti si ispira a tre principi cardine: trasparenza; non discriminazione tra gli aventi diritto; libera concorrenza. La cronaca giudiziaria ci insegna che questi sono i principi guida contro le infiltrazioni della criminalità organizzata e contro la corruzione. Qualunque modifica che va ad indebolire questi tre principi, è sbagliata”.
Negli ultimi anni molti Presidenti del consiglio, l’ultimo è stato Matteo Renzi, hanno provato a ridurre il numero delle stazioni appaltanti. Il Dpcm, già pronto, non è mai stato attuato. Ci sarebbe una riduzione da 12 mila a 3 mila per i lavori pubblici e da 25mila a 5 mila per l’acquisto di beni e servizi. Perché non si dà seguito a questo Dpcm? “Perché il potere oggi in Italia risiede in chi ha la capacità di spesa, chi gestisce il portafoglio, e in chi può decidere il contraente. Il problema è che anche i 5 Stelle l’hanno lasciata lì. Un suggerimento: è ancora valida, usatela!”.
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