Addio alle monete da 1 e 2 centesimi, a partire dal 1° gennaio 2018. È quanto prevede un emendamento del Pd, primo firmatario Sergio Boccadutri, alla manovra, ovvero al decreto legge di correzione dei conti pubblici. La proposta di modifica è stata presentata in Commissione Bilancio della Camera, e prevede che gli eventuali risparmi – vengono quantificati in “almeno 20 milioni di euro ogni anno” – derivanti dagli effetti della norma, siano destinati “al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato”.
Fabbricare le monete da 1 e 2 centesimi, secondo la relazione allegata all’emendamento, ha un costo che ammonta a circa 4,5 centesimi di euro per ciascuna moneta da 1 centesimo, e 5,2 centesimi di euro per quelle da 2. Nel testo si specifica inoltre che “la quantità di monete che ciascuno Stato può coniare è approvata dalla Banca centrale europea” e che “spetta poi a ciascuno Stato provvedere al conio delle stesse”.
Costano più di quanto valgono
Dall’introduzione dell’euro al 2013, si legge nella relazione, “la Zecca ha fuso oltre 2,8 miliardi di monete da un centesimo e 2,3 miliardi di monete da 2 centesimi per un costo complessivo di 245,6 milioni di euro. Gli effetti di risparmio sono quindi quantificabili in Italia in almeno 20 milioni di euro ogni anno”. Anche per simili ragioni alcuni paesi europei, tra cui la Finlandia e i Paesi Bassi, “hanno bloccato il conio delle suddette monete”.
Per traghettare in una nuova epoca monetaria, senza le piccole monete sempre meno utilizzate, l’emendamento prevede una norma transitoria “con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro il primo settembre 2017”, per stabilire “le modalità attraverso cui i pagamenti effettuati in contanti sono arrotondati nel periodo di sospensione”.
La proposta torna così in Parlamento, dopo che già nel 2014 lo stesso Boccadutri, all’epoca deputato di Sel, aveva proposto e fatto approvare una mozione che impegnava il Governo ad adottare politiche di contenimento della spesa, e di valutare l’opportunità “di introdurre misure finalizzate a ridurre in maniera significativa la domanda da 1 e 2 centesimi”.
Il principio, espresso da Boccadutri al Sole 24 ore, è che le monetine costano più di quanto valgono: “I consumatori le ricevono come resto, ma non le riusano”. Le macchine automatiche non le accettano, le monete da 1 e 2 centesimi finiscono ovunque, ma “fermi”. E se non circolano, non ammortizzano il valore di produzione né ne generano di nuovo.
L’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, responsabile del conio delle monete su richiesta del ministero dell’Economia, nel 2015 ha prodotto 405 milioni di pezzi, l’84% composto da monete da 1 e 2 centesimi, rispettivamente 220 e 120 milioni, senza però rendere noto il costo per ciascuna stampa. Secondo le stime inserite in una mozione presentata tre anni fa dallo stesso Boccadutri, nel 2013, il costo sarebbe stato di 23 milioni di euro: troppo, per monete che finiscono nel cassetto.