È dovuto tornare perché il Movimento 5Stelle stava andando a picco: lo dipingevano come il salvatore della patria (e dei sondaggi), ma Di Battista non è riuscito a imprimere la svolta. Anzi, diciamo che ha fatto perdere anche qualcosa, dopo quelle improvvisate sul Franco Cfa e altre scelleratezze. Alessandro Di Battista, per ora, travolge solo la quiete del governo a un passo dalla crisi. Ha inasprito la dialettica con Salvini, cavalcato l’onda ribelle sulla Tav e dato voce al M5S sulla politica estera, contro la Francia e in difesa di Maduro.
Peggio di così, non poteva fare, insomma. Eppure, il tanto desiderato “effetto Dibba”, che la Casaleggio Associati auspicava, non si è visto. È dirompente nelle scapigliate cronache gialloverdi, ma non c’è traccia di risalita nei sondaggi. A un mese dal suo ritorno, la stella di Dibba è apparsa appannata.
La sua onnipresenza è diventata materiale buono per parodie e meme, ma non ha fatto carburare il consenso, rimasto a galleggiare alle solite cifre illanguidite. L’Europa, l’Africa, l’informazione, le infrastrutture e le autostrade “da nazionalizzare”: non c’è argomento che Dibba non affronti, ogni giorno con piglio zapatista. Ieri è toccato alla Rai, a Fabio Fazio e a Bruno Vespa: “I loro stipendi vanno adeguati. Sono giornalisti, guadagnino come loro (massimo 240 mila euro)”.
Lo ha fatto senza troppo garbo per Roberto Fico, ospite qualche ora dopo a Che tempo che fa. Ma così è lui, l’uomo palinsesto del M5S, l’ex animatore di villaggi vacanza noto con il nome “Cuore di panna” diventato l’ologramma mediatico di Di Maio in carenza di voti, il simbolo del populismo da bar.
Ma agli strateghi della Casaleggio che occupano le stanze dei collaboratori del vicepremier, che compulsano diagrammi e monitorano i commenti sui social nel confronto ossessivo con Salvini, non sono certo sfuggiti i dati che raccontano di una Dibbamania sfiorita: share che non si impenna e sondaggi che lo ridimensionano. Si sa che di tutti i sondaggisti, i grillini hanno una predilezione per Nando Pagnoncelli, per questo sono stati una brutta sorpresa i risultati della rivelazione che rispondeva alla domanda se rispetto a prima Dibba “è più convincente”(17%) o “meno convincente” (28%), certificando che, nella fase di governo, la baldanza da tribuno è meno efficiente che all’opposizione.
Lo schema è semplice: Dibba deve fare l’anti-Salvini, dire quello che non può (o non vuole) dire Di Maio e recuperare quello che il leader ha perso per strada (tutto). Le sue sono incursioni corsare, ruvide. Il bersaglio è quasi sempre Salvini. Colpisce e si nasconde. Dibba veste i panni dell’uomo del bar che davanti alla tv sentenzia contro tutti e su tutto. Il linguaggio anche è quello. Ma anche lui ormai è un disco rotto che canta sempre la stessa canzone e a cui, dopo 8 mesi di governo, nessuno crede più.
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