Viviamo nell’epoca del digitale e i musei, in quanto istituzioni culturali rappresentative del nostro livello culturale, dovrebbero adeguarsi. Ma quanto sono digitali secondo voi i nostri musei? Il grande apparato del MIBACT sostiene o frena lo sviluppo digitale dei musei?
In questa guida proveremo a focalizzare alcuni punti chiave per uno sviluppo dei musei digitali in Italia: poche ma fondamentali considerazioni per una nuova e (speriamo) aumentata funzione sociale dei musei.
Un anno fa Luca de Biase del Sole24Ore all’evento Digital Think-in al Maxxi di Roma ricordava che in Italia abbiamo 320 musei, di cui solo 140 hanno un sito web, il 20% dei quali lo ha realizzato più di 5 anni fa. Il dato è decisamente allarmante, perché se nel resto del mondo pratichiamo l’iperconnessione sui social, lo storytelling dell’esperienza utente, e tante altre raffinatezze, in Italia stiamo ancora parlando di essere dotati di un sito web.
E quanti poi, di quei 180 musei che ne sono dotati, hanno un sito web responsive ben navigabile da smartphone? E quanti, di questi, erogano servizi attraverso il digitale come la vendita dei biglietti, la prenotazione di una visita guidata, etc.? Il digitale non è solo una diversa modalità di rappresentare le stesse cose (ad es. un app al posto di un’audioguida con gli stessi contenuti) ma dovrebbe produrre effetti trasformativi, costruire relazioni tra le persone e offrire loro nuove opportunità di accrescimento culturale.
I musei digitali hanno bisogno di nuove competenze
Non si può prescindere da questo, ma finché i criteri di accesso e selezione per il personale dei musei resteranno invariati e finché non sarà definito un set di competenze minime che il personale deve avere sarà difficile cambiare la situazione. Le competenze poi sono strettamente legate alle attitudini organizzative: in questo senso il digitale deve diventare un elemento della progettazione del servizio museale, non semplicemente una funzione o uno strumento. Il digitale deve essere trasversale a tutte le aree, dalla curatela ai servizi al pubblico, all’educazione, ma per esserlo c’è bisogno che ogni figura professionale all’interno del museo lo declini nelle proprie funzioni in maniera personalizzata.
I musei digitali conoscono gli utenti e le loro abitudini
In altre parole: dati, dati e ancora dati. I musei hanno bisogno di dati per conoscere il pubblico e i suoi comportamenti e costruire un’esperienza utente di qualità. E questi dati, una volta raccolti, vanno poi studiati e condivisi. Anche in questo senso il digitale è fondamentale perché, al di là delle classiche interviste o dei questionari anonimi, consente di tracciare e misurare in maniera precisa i comportamenti degli utenti a partire da siti web, app, social network. Una miniera di dati che è impensabile non sfruttare appieno: in questo senso big data e internet of things sono le parole chiave.
I musei digitali usano il digitale come leva strategica
Proprio come le aziende, anche i musei dovrebbero usare il digitale come leva strategica nella progettazione dei loro servizi. Il V&A Museum di Londra, ad esempio, ha implementato una strategia multicanale che va dal sito web ai social network, dalla newsletter fino agli spazi fisici del museo puntando su servizi di qualità (sezione tickets e shop sul sito) e sull’engagement degli utenti attorno al museo: un lavoro di branding che ambisce a mettere il museo al centro della vita delle persone come un forte influencer culturale. Inoltre, tutti i dati e i feedback raccolti dai canali digitali diventano fonte di informazioni, ed è su questo il V&A progetta i propri servizi.
Infine, siamo tutti iperconnessi e il museo può e deve diventare il luogo dove iniziano le conversazioni, dove si vive l’esperienza che poi verrà raccontata sui social. La progettazione dello spazio fisico deve tener conto di questo.
Le nuove tendenze dei musei digitali
Sempre Luca de Biase ci ricorda che è troppo generico parlare di nuove (che poi non sono più nuove) tecnologie, e che all’interno di queste ci sono state varie rivoluzioni: prima il web, poi il mobile, poi i social network. Oggi il 98% della conoscenza in nostro possesso esiste in formato digitale, solo 16 anni fa era il 25%. Questo dato, unito alla tendenza all’iperconnessione che ci contraddistingue (ricordiamo che nel 2014 la corte suprema USA aveva dichiarato il cellulare parte dell’anatomia umana fa si che oggi i musei dovrebbero progettare un fruizione che integra tecnologie digitali come i Beacon – ne avevamo parlato qui, i big data – se non sai di che stiamo parlando guarda qui, la gamification, la realtà aumentata.
Inoltre, il museo potrebbe porsi come ente formatore non solo nei confronti degli specialisti del settore ma di tutti: un centro culturale che progetta i propri servizi con logiche di co-creazione e di alta formazione sulla falsariga dei MOOC .
Queste strategie consentirebbero ai musei di innovare non solo il servizio erogato e quindi l’esperienza utente ma anche il proprio modello di business e la propria funzione sociale. I musei digitali infatti diventerebbero dei veri e propri centri culturali che grazie all’integrazione tra presenza fisica e presenza virtuale entrano a far parte della nostra vita: pensate ai canali Instagram di musei come il MOMA e il Guggenheim che arrivano a numeri come 25.000 like per ogni foto pubblicata: quanti musei italiani hanno un account Instagram?