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Come mangiare con la cultura: pochi ingredienti per una ricetta vincente che smentisce i luoghi comuni

Un diesel nel quale non serve investire molto e però bisogna farlo in maniera continua. Così Paola Dubini, docente alla Bocconi di Economia, definisce la cultura nel libro Con la cultura non si mangia (Falso!), prodotto e fortemente voluto da Giuseppe LaTerza che l’ha anche accompagnata durante la presentazione andata in scena al Teatro Caffeina di Viterbo, ospiti entrambi del direttore artistico Filippo Rossi. Un testo che arriva come risposta, anni dopo, alle parole attribuite all’allora ministro Giulio Tremonti, che avrebbe indirizzato privatamente a Sandro Bondi la frase: “Non è che la gente la cultura se la mangi”.

E invece la cultura è strumento prezioso, nel quale lo stato investe, consapevole del tornaconto, ma dovrebbe investire di più. “Una portatrice sana di ricchezza. Gli studi sul contributo economico della cultura al Pil nazionale riconoscono percentuali di tutto rispetto: secondo la Comunità Europea, i settori culturali e creativi sono tra i più dinamici in Europa e contribuiscono al 4,2% del Pil europeo”. Investire in cultura permette, poi, di risparmiare su altro: “Le statistiche ci dicono che esiste una prevedibile correlazione fra investimenti in cultura, scolarizzazione e riduzione degli abbandoni scolastici, ma gli investimenti in cultura sono anche correlati alla salute, all’abbassamento dei livelli di criminalità, all’aumento della qualità percepita della vita”.Un appello, quello della professoressa Dubini, fatto proprio anche da La Terza, che ha sottolineato l’importanza “di formare operatori culturali all’altezza, un compito del quale dovrebbe farsi carico lo Stato consapevole del fatto che proprio da questi soggetti può arrivare l’impulso per migliorare l’offerta culturale messa a disposizione del pubblico”.

Qual è, allora, la ricetta per chi, anche localmente, vuole investire in cultura? “Parlare, innanzitutto – spiega la Dubini – soprattutto con chi usufruirà della nostra offerta. Cercare continuamente il feedback del pubblico. Raccontare, poi, la propria storia, la propria identità. Creare un immaginario di riferimento. E infine non aver paura di mescolare. I bambini con i grandi, il teatro con il cinema e le letteratura. Sempre con la voglia di coinvolgere”.

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