In guerra contro tutti, contro il mondo, forse anche contro sé stesso. Costantemente in trincea, a contrattaccare dopo ogni colpo incassato. Ma sempre più solo, un generale alle cui spalle, piano piano, i soldati iniziano a indietreggiare pronti a darsi alla fuga. Luigi Di Maio non ha risparmiato nessuno negli ultimi giorni. Ha aggredito l’Europa, le banche, le opposizioni. Chiunque abbia osato criticare una manovra alla quale ha legato la sua avventura politica, deciso ad andare fino in fondo per non deludere gli elettori dopo le tante promesse della campagna elettorale. E ancora: bordate al ministro Tria, alla stampa. Un fiume in piena. La sensazione, però, è quella di un uomo sempre più solo, al quale sta venendo a mancare il terreno sotto i piedi.
Di Maio è sulla graticola da tempo immemore. Deputati e senatori pentastellati non hanno nascosto una crescente insofferenza verso il suo staff, in primis verso l’onnipotente Rocco Casalino. I giornali si sono scatenati nel sottolineare le recenti nomine del leader pentastellato: Repubblica ha chiamato in causa Enrico Esposito, sua vecchia conoscenza ai tempi dell’università a Napoli finito all’ufficio legislativo del Ministero dello Sviluppo Economico, con tanto di gaffe immediata per dei tweet sessisti e omofobi riemersi dal suo passato. Libero puntava invece il dito contro Assia Montanino, che con Di Maio condivide i natali a Pomigliano D’Arco e diventata poi sua segretaria particolare. E sul suo compagno Salvatore Barca da Villa, finito invece al Mise. Una polemica, quella sugli amici e i conterranei di Di Maio sistemati in poltrone ambite, che non è per nulla piaciuta ai militanti.
Sulle spalle del ribattezzato Giggino pesa però soprattutto la sensazione di costante subalternità nei confronti di Salvini, l’alleato ingordo che continua a fagocitare consensi e crescere nei sondaggi. Nelle ultime ore l’Espresso ha rispolverato una serie di frasi infelici di Di Maio pronunciate nel corso dei mesi precedenti l’insediamento del governo gialloverde. Tra queste, una serie di violente accuse alla flat tax (“è una bufala ed è incostituzionale: meglio chiamarla flop tax”), un no deciso ai condoni, le idee chiare su una Tav definita “inutile e vergognosa”. Affermazioni rispetto alle quali il Movimento ha fatto poi un passo indietro per andare incontro alla Lega, in un gioco al ribasso che ha finito per favorire l’altra metà dell’esecutivo, sempre più premiato da rilevazioni che vogliono il Carroccio ormai primo partito d’Italia. Tutta colpa, nell’immaginario comune, della strategia accondiscendente voluta di Di Maio.
Persino Travaglio e il Fatto Quotidiano hanno preso le distanze da un ministro del Lavoro visto come l’anello debole della catena pentastellata. Le ultime polemiche con i media hanno dato l’ispirazione al disegnatore della testata Mannelli per dedicare al vicepremier una vignetta al veleno che lo vede avvolto da pagine stampate, accompagnata dalla frase “ecco a cosa servono ancora i vecchi giornali: a incartare Di Maio”. Insomma, al fianco del povero Giggino sono rimasti in pochi, pochissimi. Sul blog e sui social gli elettori Cinque Stelle continuano a nominare il Messia, Alessandro Di Battista, al quale cederebbero volentieri la leadership per aprire una nuova frase, politicamente molto più aggressiva. La manovra delle prossime settimane potrebbe così trasformarsi, in ogni caso, in uno degli ultimi atti di un Di Maio mai capace di incarnare davvero lo spirito di un Movimento ormai pronto a voltargli le spalle.
Gli operai non tirano più: i 5Stelle danno buca, lavoratori e sindacati snobbati dal Movimento