Gianluca Nicoletti ha dato una grande lezione a Marco Travaglio che “non trova nel suo vocabolario un paragone migliore per bastonare un suo collega, di cui non condivide l’area ideologica”. Chi non si accorge dell’ovvio non è capace di trarre le conclusioni “che ne trarrebbe pure un bambino ritardato”, scrive nel suo editoriale in prima pagina del Fatto Quotidiano di cui è direttore. Alla lettura di quel passaggio, Nicoletti, ci ha tenuto a fare alcune precisazioni, scrivendo un bellissimo articolo su pernoiautistici.com e ripreso da Il Giornale: “Perché ancora una volta tira in ballo la disabilità come repertorio da cui attingere quando vuole sbeffeggiare un suo avversario? Non è un lapsus, non è un termine che gli è sfuggito. Travaglio dimostra di avere un’idea ben precisa e radicata del disagio mentale come condizione umana abietta”. (continua a leggere dopo la foto)
Continua Nicoletti: “Questo è un sintomo atavico di inciviltà su cui dovrebbe riflettere. Già si produsse in questa sua lacuna di civilizzazione il 20 settembre 2017. Anche allora, come oggi, non trovo in me sufficiente spirito di tolleranza per far finta di non aver letto. Durante il talk de La7 «Otto e Mezzo», condotta da Lilli Gruber, Marco Travaglio, al minuto 25,45 della trasmissione ha usato la frase ‘Andate pure avanti a trattarli come mongoloidi’ rivolgendosi a Gianrico Carofiglio nell’ambito di una polemica che, francamente, non mi interessa. Quello che invece mi interessa e molto è il consolidato malcostume di personaggi di vario genere, in questo caso giornalisti e ‘opinionisti’, di usare termini che riguardano una patologia come insulti”. (continua a leggere dopo la foto)
Una pratica comune che – attacca Nicoletti – non ha spinto “la padrona di casa Lilli Gruber a redarguire Travaglio o a scusarsi di un comportamento così orrendo. Allora anche la nostra amica Marina Viola, madre di un ragazzo con sindrome di Down ci scrisse da Boston per esprimere il suo sentirsi ferita: ‘Quando sento la parola mongoloide, provo dentro l’aorta il dolore di una fitta profonda e nella vena cava una rabbia primordiale’. Allora Travaglio su tutto questo fece spallucce, non ricordo una sua riflessione in merito, forse me la sarò persa”. (continua a leggere dopo la foto)
Conclude Nicoletti: “Di sicuro non considerò che nella sensibilità attuale dovrebbe essere dato per scontato che usare categorie fragili come sinonimo di insulti, corrisponde a infliggere un dolore profondo in tutta quell’ampia fetta di umanità che con quel problema tutti i giorni deve fare i conti. Parlo proprio dei caregiver, quelli veri! I familiari che appunto di ‘bambini ritardati’ e ‘mongoloidi’ come Travaglio, con orribile e arcaico fraseggio, ama definire le persone con disabilità psichica e quindi assimilarle al disprezzo. Possiamo farci girare un po’ le palle? Possiamo dire che a priori sono comportamenti da stronzo?”.
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