Giustizia, chiarezza e luce sulla catena di responsabilità su quello che è successo, in Lombardia e non solo. E’ questo che chiedono i familiari delle vittime del Covid-19, che mercoledì 10 giugno hanno presentato le prime 50 denunce alla Procura di Bergamo. Tra questi c’è anche Cristina Longhini, 39 anni, bergamasca, farmacista. Insieme a Luca Fusco la donna è una delle promotrici del comitato “Noi denunceremo (verità e giustizia per le vittime del Covid)“. Uno dei cinquanta esposti depositati in procura nel giorno del “Denuncia day” è firmato da lei. Riguarda il decesso del padre, Claudio Longhini, morto a 65 anni il 19 marzo all’ospedale di Bergamo. Il Comitato Noi Denunceremo è nato il 28 aprile 2020 dall’omonimo gruppo pubblico su Facebook, dove da tempo si raccolgono le testimonianze di chi ha perso i propri cari a causa di questa pandemia. “Voglio che la procura faccia luce su quelle che per noi sono state carenze del sistema sanitario”, ha detto la Longhini a Repubblica. Ad oggi, il gruppo conta quasi 60 000 membri, tutte voci di chi è mosso dal desiderio di conoscere la Verità, di avere risposte.
“Il 2 marzo. Febbre, diarrea, nausea. Il medico di base dice che è un virus intestinale e prescrive antibiotico, tachipirina e fermenti lattici – ha raccontato la presidentessa -. Dopo una settimana papà si aggrava. Il medico dice: avanti con la terapia. Mia madre, farmacista come me e mia sorella, chiama Ats e poi 118. Le dicono che intervengono solo se ha crisi respiratorie”. Prima curato a casa con antibiotici e fermenti, poi ricoverato all’ospedale Papa Giovanni XXIII quando la situazione si è aggravata.
L’uomo non è stato soccorso da un medico di base, ma da un medico volontario che ha chiamato l’ambulanza. In ospedale la diagnosi di polmonite e il casco di ossigeno per tentare di salvarlo. Per una settimana la figlia non riceve notizie, poi dall’ospedale chiedono alla famiglia di aiutarli a trovare un posto di terapia intensiva in altre strutture. Ricerca vana. “Suo padre morirà tra qualche ora”, le dicono al telefono. E si dimenticano di avvertirla quando succede. Numeri da chiamare, l’impossibilità di vedere i propri cari, salutare, toccargli la mano, pochi secondi al telefono se rispondono per avere notizie.
Il padre della Longhini era tra le salme del tragico corteo di mezzi militari che sfilò per le vie di Bergamo, trasportando fuori regione, nei forni crematori di altre città, i cadaveri delle persone decedute nella città lombarda a causa del coronavirus. “L’hanno portato a Ferrara con i camion militari. Dal 19 marzo, ultima volta che l’ho visto morto in ospedale, abbiamo riavuto l’urna il 18 aprile. L’abbiamo tumulato il 23 aprile. Ho fatto denuncia contro ignoti. Chiedo giustizia per mio padre”.
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