Il suo cuore non ha retto a un dolore arrivato in età così avanzata, 106 anni. E così Giovanni Battista Calvini di Asti, premiato in passato con la medaglia d’onore come ex deportato, si è spento non riuscendo a sopportare di dover passare l’ultima parte della sua vita lontano dai cari, rinchiuso in una casa di riposo che si era trasformata in una prigione a causa del coronavirus. A raccontare questa triste storia è stata La Stampa.
Giovanni Battista, nonostante le tante primavere alle spalle, era rimasto fino all’ultimo lucidissimo, informandosi quotidianamente su quanto stava succedendo in Italia. Il dolore per l’impossibilità di rivedere i suoi parenti, però, alla fine lo ha portato a morire di crepacuore, incapace di sopportare quella distanza forzata. Nonostante le continue rassicurazioni degli addetti della casa di riposo, pare che si fosse convinto che i suoi erano tutti morti durante l’emergenza sanitaria Covid-19 e che nessuno aveva il coraggio di dirglielo.
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“Voi siete come me, quando mi hanno mandato in guerra con un fucile arrugginito. Mi giravo e vedevo tanti morti, come adesso per televisione. Ditemi la verità , anche i miei sono morti tutti. Non mangio più perché voglio andare con loro” avrebbe detto agli operatori e alla direttrice della struttura che lo ospitava.
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Una storia che ha commosso l’Italia, quella di quest’uomo che aveva trascorso in guerra 10 anni di vita, di cui 2 da internato, ed era tornato in Italia a piedi da Berlino una volta cessate le ostilità. Nemmeno le videochiamate fatte ad alcuni parenti lo hanno convinto a desistere: in preda alla disperazione ripeteva infatti che fossero diavolerie moderne inventate per rassicurarlo e che i suoi cari erano ormai scomparsi.
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