“Non toccate i Maneskin“. Il critico musicale di Repubblica, Ernesto Assante, si alza in difesa della rock band romana, subissata dalle critiche in occasione dell’uscita del loro nuovo album, “Rush!”.
“Alzate. Puntate. Fuoco! Obiettivo: i Måneskin“, comincia Assante. La presentazione spettacolare dell’ultimo disco, con tanto di finto matrimonio, possiamo dire che non ha convinto molte persone. Si è passati dalla stroncatura del compositore e violinista Uto Ughi, a quella del columnist dell’Atlantic, Spencer Kornhaber.
“A passare da band amata al punto di diventare in pochi mesi un fenomeno planetario, al gruppo che si ama odiare, ci vuole ben poco, soprattutto nell’immediatezza del mondo dei social, dove una qualsiasi opinione diventa virale nell’arco di qualche istante”, sostiene l’opinionista di Repubblica.
Insomma, insultare i Måneskin, “fa fico”, “perché ormai si sono venduti l’anima, perché non sono abbastanza rock o, opinione più in voga, non lo sono mai stati, perché sono un prodotto dell’industria, perché non sono abbastanza bravi e via discorrendo”. E poi c’è il revival del kitsch, del glam anni 90, che era il manierismo del punk del decennio precedente, non aiuta neanche il pessimo gusto finto-trasgressivo, vedi il loro funerale o il loro matrimonio in scena.
Ernesto Assante difende i Maneskin
Ma, riflette Assante, “potrebbe essere tutto vero e, francamente, niente di tutto questo sarebbe un peccato mortale. Nel mondo del rock ci sono stati artisti maiuscoli che hanno venduto la propria anima senza che diventasse reato, ci sono artisti che abbiamo amato perdutamente che non sono stati abbastanza rock o che non lo sono stati affatto, e ancora oggi le nostre playlist del cuore sono zeppe di prodotti dell’industria, di musica di consumo, di idiozie passeggere o di eterne puttanate. Per non parlare di quante band che hanno suonato male sono addirittura entrate nell’Olimpo del rock stesso”. Vi ricordate i Sex Pistols? Ecco. Certo, Sid Vicious non fingeva isterismi, tossicodipendenze e ipocondrie varie. Ma siamo lì.
Le critiche dall’estero ai Maneskin
Dopo il sale della polemica, Ernesto Assante prova a formulare delle ipotesi sull’odio che sta prendendo forma di valanga contro i Maneskin. “Le critiche che vengono dall’estero sono spesso basate su un pregiudizio, per molti anni motivato: il rock è roba americana e inglese”. Di conseguenza, se non sei di quelle parti, ti stai appropriando di una cultura tipicamente angloamericana.
“Vero – ipotizza Assante – ma da molto tempo ormai il rock è lingua comune per esseri umani dislocati al di fuori dell’impero musicale”. E prosegue: “Molti di noi, compreso chi scrive, sono cresciuti ascoltando rock e considerandolo parte integrante della propria cultura”. “Solo un’errata convinzione ‘proprietaria’ di un linguaggio musicale può far pensare che una band italiana non sia ampiamente legittimata a suonare rock”.
Il giornalista prosegue nella sua invettiva: “Solo una vecchia visione ‘imperiale’ della cultura di massa può far credere a qualcuno che le ultime generazioni siano cresciute tutte in maniera ‘local’ e che la globalizzazione del pop non sia già ormai assodata”. Specie, sintetizziamo dal sapido pensiero di Assante, nella musica, “dove Fabri Fibra può fare rap e Fabrizio Bosso suonare jazz, ma entrambi fanno la loro musica in Italia, al massimo in Europa”. Mentre, conclude Assante questa prima parte del suo pensiero, “i Maneskin stanno mietendo successi in America, scavalcando decine, centinaia, migliaia di band a stelle e strisce”.
I “rosiconi del web” contro i Maneskin
Il gancio è perfetto per ragionare sulle critiche dei “rosiconi” sia in Italia che all’estero. Il pensiero di costoro si sintetizza così: “Perché loro e non io che sono più bravo?”. Risponde il critico: perché “i Måneskin hanno toccato una corda tesa e l’hanno saputa far vibrare, con la loro energia, la loro gioventù, la loro sfacciataggine, la loro magnifica e poderosa presunzione. Altri, magari anche con pedigree migliori, non ci sono riusciti, tutto qui. E non è poco”.
Le critiche artistiche ai Maneskin
Ci sono infine le critiche artistiche. Qui, il riferimento alla loro impossibilità sul salvataggio del rock’n’roll avanzato dall’Atlantic è puramente voluto. Vale la pena dirlo, con Assante: “I Måneskin non sono i Led Zeppelin, e nemmeno i Sex Pistols. Si, è vero, e ci piace aggiungere che Calcutta non è De Gregori o Battisti e Ariete non è Mina. E meno male. Perché i tempi cambiano, la realtà muta, e tutti noi abbiamo bisogno di artisti che vivano il loro tempo alla loro maniera”.
Per qualcuno, bisogna ricordare, a loro volta “i Led Zeppelin non erano Elvis Presley e Battisti non era Domenico Modugno”. E così in una digressione all’infinito. E chissà, aggiungiamo, cosa ne avrebbe pensato Battiato, che a Vivaldi preferiva l’insalata.
Maneskin, il significato del finto matrimonio
La conclusione della critica di Ernesto Assante su Repubblica merita una riflessione ulteriore, a partire da quel falso matrimonio che non è piaciuto ai più: “La storia del rock e del pop ha visto feste ben più glamour, vistose, eccessive, trasgressive, volgari, indecenti, ma in nessuna di queste una band, anche se in maniera divertente e divertita, si è giurata eterno amore, fedeltà, comunione di intenti e fratellanza come hanno fatto i Måneskin”. Per Assante quello è stato un vero e proprio “gesto politico“, volto ad affermare che “insieme è meglio“, “nel pieno dell’era dell’individualismo social, dell’egoismo autoreferenziale”.
Conclude il critico di Repubblica: “Politica pop? No, un gesto esemplare, magnificamente ironico quanto sostanziale, per dire che ora e qui i Måneskin sono ‘per sempre’. Un bell’obiettivo per quattro ragazzi (Victoria, Thomas e Ethan hanno 22 anni, Damiano 24), suonano a un volume spaventosamente alto, sono belli, allegri, sexy e esagerati, sono italiani, stanno conquistando il mondo, e hanno davanti tutto il futuro che vorranno avere”.