Le 1.209 pagine della biografia di Joseph Ratzinger, “Benedetto XVI. Una vita”, edita da Garzanti, lasciano la domanda in sospeso: anche perché, nonostante oltre duecento siano dedicate alla preparazione e alla spiegazione della sua rinuncia, alla fine rimane un alone di mistero sui veri motivi che l’hanno provocata. Il Papa emerito racconta al suo biografo, bavarese come lui, di non essersi dimesso per lo scandalo Vatileaks: e questa è una prima grande novità. Come riporta il Corriere, che riprende parte della biografia, Ratzinger tra le altre cose dice: “Una volta ho detto che uno non si può dimettere quando le cose non sono a posto, ma può farlo solo quando tutto è tranquillo”.
“Io ho potuto dimettermi proprio perché riguardo a quella vicenda era tornata la serenità. Non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte”. È una versione che riemerge più volte, rivelando una storia avvincente di dimissioni meditate e date come al rallentatore, informando col passare dei mesi le persone a lui più vicine e cercando di attutire un trauma inevitabile per il cattolicesimo. Prendere atto della verità di Benedetto, tuttavia, non esime dal continuare a porsi qualche domanda su quanto avveniva nei palazzi apostolici.
Seewald racconta le tensioni continue tra il segretario di Stato di allora, il controverso Tarcisio Bertone, e la cerchia papale. Il segretario personale di Benedetto, monsignor Georg Gänswein, si scontrò con lui più volte. E anche cardinali vicini a Ratzinger, come l’arcivescovo di Milano Angelo Scola, e quello di Colonia Joachim Meisner, gli chiesero di sostituirlo. “Ma il Papa non si lasciò persuadere. A quanto pare”, scrive Seewald, “la sua risposta fu: ‘Bertone rimane — basta!'”. Non volle sostituirlo neanche quando nel 2010 compì 75 anni. Gänswein, si legge, protestò: “Bertone ne ha già combinate tante, e questo è troppo”. Ma Benedetto XVI continuò a difenderlo.
Sono passaggi che strappano veli sorprendenti. Riverberano un’ombra di debolezza e insieme di ostinazione su Ratzinger ‘governante’. E lasciano intatto l’enigma del sodalizio tra questo teologo raffinato e timido e il suo “primo ministro” Bertone, accusato nel libro di ingerirsi nella politica italiana; e, “invece di proteggere il Papa, di essere sempre in viaggio”, registra Seewald. Si ha una descrizione densa e informata di una vita coerente e insieme tormentata da una stanchezza quasi esistenziale: col dubbio di dovere compiere un gesto che pure contraddiceva il profilo di Ratzinger, innovatore nella lettura dei tempi ma rigoroso e ortodosso sul piano della teologia.
Ma, per quanto fondamentale, la lettura della biografia non può limitarsi all’ultimo tratto del pontificato. L’interesse che suscita si deve alla sua completezza, a una ricchezza di informazioni e di dettagli inediti, frutto anche della consuetudine e del dialogo continuo di Seewald con Benedetto. Intanto, si tenta ancora di decifrare il segreto della convivenza in Vaticano tra i ‘due papi’. “L’amicizia personale con Papa Francesco non solo è rimasta”, conferma Benedetto a Seewald, “ma è andata crescendo nel tempo”. Si tratta di un miracolo di equilibrio e di lealtà reciproca che dura, e si rinnova ogni giorno.
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