Una nuova udienza del processo Open Arms a carico di Matteo Salvini si è aperta la mattina dell’8 aprile nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone a Palermo. Il leader della Lega è accusato del reato di sequestro di persona, commesso secondo l’accusa nel 2019 quando, da ministro dell’Interno, non consentì per giorni lo sbarco di 160 migranti dalla nave della ong spagnola.
Sul banco dei testimoni sfilano oggi Marc Reig Creus, il capitano Open Arms, Dario Caputo, l’ex prefetto di Agrigento, Rosa Maria Iraci, questore di Agrigento, Vincenzo Asaro, direttore sanitario dell’ospedale di Licata, Cristina Camilleri, responsabile CTA Dipartimento salute mentale di Agrigento, Alessandro Dibenedetto, psicologo Emergency e Katia Valeria Di Natale, medico in servizio presso lo staff Cisom. Ed è proprio la testimonianza di Creus ad essere interessante.
“Durante la missione 65 effettuammo tre operazioni di soccorso, salvando un totale di 163 persone. – questa la testimonianza del capitano della Open Arms Marc Reig Creus – Dopo aver esaurito tutte le possibilità legali e dovendoci proteggere dalle intemperie, ci ancorammo a 700 metri dall’isola di Lampedusa, all’interno delle acque territoriali italiane. Le condizioni delle persone soccorse peggioravano di giorno in giorno, nonostante gli enormi sforzi dell’equipaggio della Open Arms che si adoperò con ogni mezzo per prestare loro le cure necessarie”.
“I naufraghi furono costretti ad attendere sul ponte della nostra nave subendo sofferenze inutili e gratuite – prosegue il drammatico racconto di Creus – Inoltre, la disperazione e l’impotenza di fronte al rifiuto di sbarcare in un porto sicuro, spinsero alcuni di loro a tuffarsi in acqua senza che sapessero nuotare, cosa che mise ulteriormente in pericolo le loro vite. Mi auguro che la legge italiana faccia giustizia stabilendo le responsabilità di quegli eventi, dimostrando che i diritti umani devono sempre andare oltre gli interessi politici”.
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