Il Coronavirus è arrivato anche in Nuova Zelanda, ma a differenza degli altri paesi europei, la sua strategia per contenere la diffusione dei contagi si sta rivelando fin qui una delle più efficaci al mondo. Dopo due settimane di rigide restrizioni in tutto il paese, il numero di nuovi infettati è in costante calo dopo aver raggiunto un picco di 98 persone il 2 aprile. In un articolo uscito nei giorni scorsi sul Washington Post, la giornalista neozelandese Anna Fifield ha spiegato l’efficacia dell’approccio della Nuova Zelanda definendo la sua una strategia “di eliminazione”, anziché di contenimento come quella degli Stati Uniti e di altri paesi europei. “Non sta solo appiattendo la curva dei contagi, ma la sta schiacciando”, ha scritto il quotidiano statunitense. Quello che infatti sta sorprendendo maggiormente gli epidemiologi è l’evolversi del virus, o meglio, il suo non – evolversi. In due settimane dai primi contagi e dal successivo lockdown, la Nuova Zelanda ha quasi sconfitto del tutto il virus, facendolo non solo regredire ma anche scomparire.
Il 19 marzo scorso, a circa un mese da quando l’epidemia aveva cominciato a circolare in Italia, il governo guidato da Jacinda Ardern ha deciso di chiudere i confini della Nuova Zelanda. La premier, nei giorni successivi, ha incontrato una serie di esperti che le hanno consigliato di passare immediatamente alla cosiddetta fase 4, quella cioè con le restrizioni più severe, nonostante il numero dei contagi del paese fosse ancora esiguo. Così, lunedì 23 marzo ha annunciato alla popolazione che aveva due giorni di tempo per prepararsi a un mese di isolamento e mercoledì 25 marzo, dopo aver superato quota 100 infetti, ha dichiarato l’emergenza nazionale. Bar, ristoranti, cinema, pub e scuole sono stati chiusi e i cittadini invitati, come nel resto del mondo, a restare a casa, a meno che non avessero esigenze lavorative e personali che costringessero ad uscire. Cosa che effettivamente hanno fatto, se si considera che su circa cinque milioni di abitanti solo 45 persone sono state multate per non aver rispettato le restrizioni. Il risultato delle restrizioni
Finora in Nuova Zelanda ci sono stati in tutto 1.210 contagiati di cui 282 guariti: dei malati, 12 sono in ospedale, di cui 4 in terapia intensiva e 2 in gravi condizioni. Il tasso di letalità della Nuova Zelanda è uno dei più bassi al mondo: per il momento è morta una persona, una donna di 70 anni con problemi di salute pregressi. I nuovi casi di oggi sono 50, il numero più basso da due settimane nonostante il numero di tamponi effettuati sia stato il più alto: 4.098, per un totale di 46.875 dall’inizio dei contagi. Per avere un termine di paragone, ieri in Lombardia – che ha 10 milioni di abitanti e una larghissima diffusione del contagio – i tamponi analizzati dai laboratori sono stati 4.342. Martedì e lunedì i positivi in Nuova Zelanda erano stati rispettivamente 54 e 67.In Nuova Zelanda lo stato di emergenza è stato prorogato di altri sette giorni, i cittadini dovranno osservare altre due settimane di quarantena e il governo, a cui l’opposizione di centrodestra ha dato la massima disponibilità nell’attuare tutte le misure che ha in programma, non si è ancora pronunciato sulla data ufficiale di fine della fase 4. Anche i confini resteranno chiusi finché il virus non sarà sconfitto a livello globale. Ma intanto il modello neozelandese è diventato un caso di studio.Secondo Michael Baker, docente di Salute pubblica all’Università di Otago e uno dei più autorevoli epidemiologi del paese, fondamentale è stato l’approccio per “eliminazione” fin dall’inizio, definendo il caso neozelandese “un trionfo di scienza e leadership. Mentre altri paesi hanno avuto un graduale aumento dei casi, il nostro approccio è stato esattamente l’opposto, con l’intento non di appiattire la curva dei contagi e quindi rallentare la malattia ma di eliminarla del tutto”.
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