Lo scorso 9 maggio a Milano il 44esimo presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama ha partecipato come key note speaker all’evento Seeds&Chip (ne avevamo parlato qui) organizzato dall’imprenditore Marco Gualtieri e focalizzato sulla food innovation.
Circa 1 ora e 45 minuti di intervento nei quali Obama ha affrontato l’argomento food, in particolare in relazione ai cambiamenti climatici e alla tecnologia, senza però risultare particolarmente efficace.
Camicia aperta e aria informale, Obama viene intervistato da Sam Kess, suo (giovanissimo, è del 1980) consulente alla Casa Bianca come “Senior Policy Advisor for Nutrition Policy, as Executive Director for First Lady Michelle Obama’s Let’s Move! campaign, and as an Assistant Chef”, recita Wikipedia.
Ci chiediamo se in Italia uno chef sarebbe mai potuto diventare consulente per le politiche alimentari di un presidente del consiglio, e la risposta non è affermativa.
Diciassette domande per un discorso ampio e basato essenzialmente sul buon senso (molto del quale mutuato dai concetti chiave di Slow Food) più che sulle competenze specifiche o sulla storia della politica alimentare del suo governo.
Obama esordisce sottolineando la relazione tra cambiamenti climatici e politiche per la sicurezza alimentare: una priorità per il suo governo, perché i cambiamenti climatici stanno rendendo sempre più difficile produrre cibo. Molte delle fasce di popolazione più povera lavorano in agricoltura, e la distanza tra paesi ricchi e paesi poveri è sempre più evidente anche dal punto di vista alimentare. E con i flussi migratori in corso verso l’Europa sarà sempre peggio.
Dopo il consumo di energia la questione della food prodction è per lui il secondo punto su cui agire in ordine di importanza per affrontare i cambiamenti climatici. Sottolinea come la tecnologia debba essere applicata per produrre un cibo giusto che non distrugga il pianeta, dalle modalità di coltivazione e trasformazione al packaging, e come al contempo sia necessario sprecare sempre meno ottimizzando le risorse: pensate che in USA circa il 40% del cibo prodotto viene buttato. Mangiare cibo sano incide positivamente anche sulla spesa sanitaria, e qui entra in gioco l’educazione delle persone, vero driver del cambiamento. Perché sono le persone che possono davvero cambiare le cose, non i politici o i governi.
Il 99% degli scienziati che studiano il clima sono concordi sul fatto che il pianeta si sta surriscaldando e che le conseguenze saranno catastrofiche per gli esseri umani. “La questione climatica deve entrare nell’agenda politica dei governi, in particolare di USA e Cina”, dice. Negli USA il settore privato si è già attivato per produrre quantità maggiori di energia pulita, e la stessa cosa dovrebbe valere per il settore del cibo: non sprecare perché è antieconomico, produrre cibo “pulito”, per noi e per il pianeta. Negli USA il dipartimento per l’agricoltura sta collaborando con i farmers per produrre cibo in maniera più efficiente, ma è importante che le persone inizino a produrre cibo in autonomia e che esistano anche aziende “piccole”, più gestibili e aperte al cambiamento rispetto alle grandi multinazionali.
Alla domanda sulla questione della carne (in crescita esponenziale di consumo dei paesi in via di sviluppo), Obama sollecita non restrizioni esplicite ma un aumento di consapevolezza da parte dei cittadini. In questo senso la tecnologia può aiutare a produrre proteine in maniera diversa, per esempio.
Sull’intersezione tra cibo e salute l’ex presidente afferma che è necessario cambiare il nostro modo di alimentarci: non quello che vogliamo, ma quello di cui abbiamo bisogno in base a valori nutrizionali, allergie e intolleranze alimentari, patologie mediche. Ma se lasciamo che la tecnologia entri nelle nostre vite e ci aiuti a stare meglio, allora dobbiamo considerarne anche le conseguenze a livello sociale: se le produzioni si meccanizzano, che fine faranno i lavoratori del settore agricolo? Il driver tecnologia deve essere utilizzato in maniera sostenibile e democratica.
Infine, sull’unica domanda davvero cruciale “quale il ruolo del settore privato nella definizione di politiche governative sul food? Vede un cambiamento?”, Obama auspica “solo” una maggiore sensibilità degli imprenditori verso il sociale, glissando sulla questione di come il suo governo sia stato influenzato (e limitato) nel portare avanti politiche alimentari di rottura che avrebbero garantito un cibo migliore (su questo il giornalista Michel Pollan ha fatto un gran lavoro di indagine).
La chiusura classica con l’adagio “non donare a uomo povero un pesce, ma insegnagli a pescare” lascia un po’ di amaro in bocca per un intervento tanto atteso e, ahimè, così poco incisivo.
Ecco il video integrale dell’intervento.
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Ph. Courtesy Il fatto alimentare, Corriere della Sera, Food&Wine Magazine